La sentenza 5513/2020 III sezione penale Corte di Cassazione va segnalata perché, in tema di reati tributari, delinea i presupposti per giungere all’affrancamento dalla responsabilità penale della controllante rispetto alla condotta della società controllata.
In ragionamento riguarda la persona fisica dell’imputato rappresentante legale della controllante ma può essere preso come riferimento anche nell’ambito dei rapporti intrasocietari o tra società collegate o di gruppo al fine della redazione del modello organizzativo fiscale e delle azioni di controllo degli organismi di vigilanza alla luce delle recente normativa che ha inserito alcuni reati tributari tra i reati presupposto per la applicazione della d.lgs 231/2001.
Il caso che occupa riguarda la imputazione di omesso versamento IVA ex art. 10 ter d.lgs 74/2000 in regime di consolidato fiscale ex artt. 117 – 129TUIR, D.P.R. 917/2986.
Il rappresentante legale della consolidante, imputato del reato de quo, argomenta la sua estraneità ai fatti sostenendo che la controllata a omesso di versare la sua quota di importo di IVA alla controllante e quindi si è trovato nella impossibilità, sebbene unico obbligato, di versare la somma corrispondente all’Erario.
A fronte di questa eccezione difensiva la Corte, nel rigettarla, così si pronuncia: “I rilievi in ordine al mancato versamento delle somme dovute dalle controllate non consentono, poi, di escludere la responsabilità’ della controllante e, per essa, del ricorrente, sia in considerazione della genericità’ della relativa deduzione difensiva, non essendo stato specificato alcunché riguardo ai rapporti con le controllate e alle somme da ciascuna di esse dovute e alle ragioni dei mancati versamenti; sia per la mancata dimostrazione della attivazione della controllante per ottenere il versamento da parte delle controllate delle somme dalle stesse dovute a tale titolo, tenendo conto dei poteri di controllo spettanti alla società’ controllante, posto che, come evidenziato, ai fini del consolidato fiscale il controllo e’ individuato come detenzione in un’altra società’ di capitali di azioni che permettono l’ottenimento della maggioranza dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria, o la cui partecipazione agli utili e’ superiore al 50%, con la conseguenza che la indisponibilità delle somme necessarie per provvedere al pagamento dell’imposta non e’ riconducibile a fattori estranei alla sfera di dominio della controllante o da questa non governabili (stante la necessaria esistenza di un potere di controllo derivante dalla partecipazione societaria), con la conseguente imputabilità’ alla stessa della indisponibilità’ delle risorse necessarie per provvedere al versamento delle somme dovute a titolo di imposta sul valore aggiunto”.
Nella sostanza la Corte, a contrario, afferma che se la controllante avesse dimostrato di essersi attivata tempestivamente tramite la adozione di misure ed interventi idonei sulla controllata volta a indurla a versare la sua quota, se avesse allegato le sanzioni adottate nei confronti dell’amministratore della controllata, il rappresentante legale avrebbe potuto dimostrare la sua estraneità al fatto e quindi essere assolto dal reato rimanendo la controllante, eventualmente, obbligata solo dal punto di vista amministrativo fiscale.
Una argomentazione che dimostra come la Giurisdizione si stia orientando verso il riconoscimento delle efficacia dei regolamenti interni di gestione del rischio ai fini della delimitazione della responsabilità penale.
Un ragionamento perfettamente coerente con il meccanismo di esenzione di responsabilità regolato dall’art. 6 d.lgs 231/2001.
La adozione di un modello fiscale efficace, l’attivarsi tempestivamente con regole interne idonee a prevenire la commissione di reati tributari, comminare sanzioni, potrà svolgere la sua funzione non solo nel rapporto interno societario rispetto ai vertici o dipendenti, ma anche nei rapporti infragruppo nei casi di bilancio consolidato e di consolidato fiscale.
Se poi allarghiamo l’orizzonte a società multinazionali con sedi in regimi fiscali differenziati emerge che il ruolo della compliance assume una importanza determinante ai fini della salvaguardia degli interessi di gruppo e della reputazione nazionale ed internazionale delle società.
Sarà, quindi, compito dell’Organismo di Vigilanza, verificare, oltre alla regolarità contabile, la puntualità delle rimesse interne, la effettività e la tempestività dei versamenti all’Erario. In caso di consolidato fiscale, l’Organismo di Vigilanza della controllante dovrà, pertanto, poter controllare tutto l’iter di adempimenti ricadenti sulla controllate ai fini della concreta operatività del modello di quest’ultima ai fini di una eventuale esenzione dalla responsabilità amministrativa da reato per le ipotesi di reato contemplate dal d.lgs 231/2001.
Consolidato fiscale e modello organizzativo
La sentenza 5513/2020 III sezione penale Corte di Cassazione va segnalata perché, in tema di reati tributari, delinea i presupposti per giungere all’affrancamento dalla responsabilità penale della controllante rispetto alla condotta della società controllata.
In ragionamento riguarda la persona fisica dell’imputato rappresentante legale della controllante ma può essere preso come riferimento anche nell’ambito dei rapporti intrasocietari o tra società collegate o di gruppo al fine della redazione del modello organizzativo fiscale e delle azioni di controllo degli organismi di vigilanza alla luce delle recente normativa che ha inserito alcuni reati tributari tra i reati presupposto per la applicazione della d.lgs 231/2001.
Il caso che occupa riguarda la imputazione di omesso versamento IVA ex art. 10 ter d.lgs 74/2000 in regime di consolidato fiscale ex artt. 117 – 129TUIR, D.P.R. 917/2986.
Il rappresentante legale della consolidante, imputato del reato de quo, argomenta la sua estraneità ai fatti sostenendo che la controllata a omesso di versare la sua quota di importo di IVA alla controllante e quindi si è trovato nella impossibilità, sebbene unico obbligato, di versare la somma corrispondente all’Erario.
A fronte di questa eccezione difensiva la Corte, nel rigettarla, così si pronuncia: “I rilievi in ordine al mancato versamento delle somme dovute dalle controllate non consentono, poi, di escludere la responsabilità’ della controllante e, per essa, del ricorrente, sia in considerazione della genericità’ della relativa deduzione difensiva, non essendo stato specificato alcunché riguardo ai rapporti con le controllate e alle somme da ciascuna di esse dovute e alle ragioni dei mancati versamenti; sia per la mancata dimostrazione della attivazione della controllante per ottenere il versamento da parte delle controllate delle somme dalle stesse dovute a tale titolo, tenendo conto dei poteri di controllo spettanti alla società’ controllante, posto che, come evidenziato, ai fini del consolidato fiscale il controllo e’ individuato come detenzione in un’altra società’ di capitali di azioni che permettono l’ottenimento della maggioranza dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria, o la cui partecipazione agli utili e’ superiore al 50%, con la conseguenza che la indisponibilità delle somme necessarie per provvedere al pagamento dell’imposta non e’ riconducibile a fattori estranei alla sfera di dominio della controllante o da questa non governabili (stante la necessaria esistenza di un potere di controllo derivante dalla partecipazione societaria), con la conseguente imputabilità’ alla stessa della indisponibilità’ delle risorse necessarie per provvedere al versamento delle somme dovute a titolo di imposta sul valore aggiunto”.
Nella sostanza la Corte, a contrario, afferma che se la controllante avesse dimostrato di essersi attivata tempestivamente tramite la adozione di misure ed interventi idonei sulla controllata volta a indurla a versare la sua quota, se avesse allegato le sanzioni adottate nei confronti dell’amministratore della controllata, il rappresentante legale avrebbe potuto dimostrare la sua estraneità al fatto e quindi essere assolto dal reato rimanendo la controllante, eventualmente, obbligata solo dal punto di vista amministrativo fiscale.
Una argomentazione che dimostra come la Giurisdizione si stia orientando verso il riconoscimento delle efficacia dei regolamenti interni di gestione del rischio ai fini della delimitazione della responsabilità penale.
Un ragionamento perfettamente coerente con il meccanismo di esenzione di responsabilità regolato dall’art. 6 d.lgs 231/2001.
La adozione di un modello fiscale efficace, l’attivarsi tempestivamente con regole interne idonee a prevenire la commissione di reati tributari, comminare sanzioni, potrà svolgere la sua funzione non solo nel rapporto interno societario rispetto ai vertici o dipendenti, ma anche nei rapporti infragruppo nei casi di bilancio consolidato e di consolidato fiscale.
Se poi allarghiamo l’orizzonte a società multinazionali con sedi in regimi fiscali differenziati emerge che il ruolo della compliance assume una importanza determinante ai fini della salvaguardia degli interessi di gruppo e della reputazione nazionale ed internazionale delle società.
Sarà, quindi, compito dell’Organismo di Vigilanza, verificare, oltre alla regolarità contabile, la puntualità delle rimesse interne, la effettività e la tempestività dei versamenti all’Erario. In caso di consolidato fiscale, l’Organismo di Vigilanza della controllante dovrà, pertanto, poter controllare tutto l’iter di adempimenti ricadenti sulla controllate ai fini della concreta operatività del modello di quest’ultima ai fini di una eventuale esenzione dalla responsabilità amministrativa da reato per le ipotesi di reato contemplate dal d.lgs 231/2001.