Con la sentenza n. 25450/2020, la terza
Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ha affrontato, tra le altre questioni, quella
relativa ad un’illegittima determinazione del profitto sequestrabile a fini di
confisca, considerandosi, a parere del ricorrente, una erronea duplicazione del
valore dell’imposta sottratta all’erario.
Nel caso di specie i fatti si sostanziavano
nella commissione dei reati di dichiarazione fraudolenta ex art. 3 dlgs 74/2000,
che punisce “chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore
aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero
avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad
ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria,
indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per
un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti
e ritenute fittizi […]”, nonché di indebita compensazione ex art. 10 quater c.
2 del dlgs 74/2000, che punisce “chiunque non versa le somme dovute,
utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo
9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai
cinquantamila euro”.
Il ricorrente ha paventato l’illegittima
duplicazione dell’imposta dovuta, che sarebbe, invece, rimasta unica, sebbene a
fronte di una duplice offesa nei confronti dell’erario, prima nella fase
dichiarativa e successivamente in quella compensativa. L’indebita
compensazione, cioè, si sarebbe realizzata utilizzando dei crediti IVA, sebbene
fittizi, già costituenti oggetto materiale del reato di dichiarazione
fraudolenta.
La Corte, nel rigettare il ricorso, ha affermato
che “il profitto di cui ai due predetti reati è distinto, corrispondendo nel
primo caso ad un abbattimento della base imponibile e quindi della percentuale dell’imposta
sui redditi o sul valore aggiunto, nel secondo caso al mancato versamento di un
debito di non predeterminata natura per un ammontare corrispondente al credito
inesistente o non spettante. Cosicché non è dato affermarsi la sussistenza di
una coincidenza tra il profitto conseguente alla valorizzazione, nelle due
diverse fattispecie, del medesimo credito fittizio”.
DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA MEDIANTE ALTRI ARTIFICI ED INDEBITA COMPENSAZIONE: IL PROFITTO DEL REATO NON COINCIDE.
Con la sentenza n. 25450/2020, la terza
Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ha affrontato, tra le altre questioni, quella
relativa ad un’illegittima determinazione del profitto sequestrabile a fini di
confisca, considerandosi, a parere del ricorrente, una erronea duplicazione del
valore dell’imposta sottratta all’erario.
Nel caso di specie i fatti si sostanziavano
nella commissione dei reati di dichiarazione fraudolenta ex art. 3 dlgs 74/2000,
che punisce “chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore
aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero
avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad
ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria,
indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per
un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti
e ritenute fittizi […]”, nonché di indebita compensazione ex art. 10 quater c.
2 del dlgs 74/2000, che punisce “chiunque non versa le somme dovute,
utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo
9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai
cinquantamila euro”.
Il ricorrente ha paventato l’illegittima
duplicazione dell’imposta dovuta, che sarebbe, invece, rimasta unica, sebbene a
fronte di una duplice offesa nei confronti dell’erario, prima nella fase
dichiarativa e successivamente in quella compensativa. L’indebita
compensazione, cioè, si sarebbe realizzata utilizzando dei crediti IVA, sebbene
fittizi, già costituenti oggetto materiale del reato di dichiarazione
fraudolenta.
La Corte, nel rigettare il ricorso, ha affermato
che “il profitto di cui ai due predetti reati è distinto, corrispondendo nel
primo caso ad un abbattimento della base imponibile e quindi della percentuale dell’imposta
sui redditi o sul valore aggiunto, nel secondo caso al mancato versamento di un
debito di non predeterminata natura per un ammontare corrispondente al credito
inesistente o non spettante. Cosicché non è dato affermarsi la sussistenza di
una coincidenza tra il profitto conseguente alla valorizzazione, nelle due
diverse fattispecie, del medesimo credito fittizio”.