IL DEPOSITO DELLA DOMANDA DI AMMISSIONE ALLA PROCEDURA DI CONCORDATO PREVENTIVO NON ESIME DAL PAGAMENTO DEI DEBITI TRIBUTARI CHE SCADONO SUCCESSIVAMENTE

Segnaliamo ai lettori la sentenza n. 13628 del 20 febbraio 2020 (depositata il 5 maggio 2020), con cui la Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine al rapporto intercorrente tra la procedura di concordato preventivo e gli effetti inibitori che la stessa potrebbe avere rispetto all’obbligo di versamento delle ritenute dovute o certificate imposto dalla legge tributaria.

A mezzo di tale pronuncia, la Corte ha statuito che la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo con riserva non inibisce il pagamento dei debiti tributari con scadenza successiva al deposito della domanda, ma antecedente all’ammissione, salvo la presenza di un provvedimento del tribunale che ne abbia vietato il pagamento.

La Suprema Corte arriva a tale conclusione utilizzando alcuni criteri ermeneutici forniti dalla giurisprudenza civile per identificare la natura di ordinaria o straordinaria amministrazione dell’atto di pagamento del debito tributario. Sulla base di tali criteri, è stato precisato che il pagamento delle imposte, che in normali condizioni assume la natura di atto di ordinaria amministrazione, a seguito del deposito della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, è da considerarsi come atto di straordinaria amministrazione (in ragione dell’impatto che potrebbe avere sul patrimonio del debitore e del pregiudizio che potrebbe arrecare ai creditori) e dunque soggetto ad autorizzazione del tribunale.

Tale assunto viene poi speso dai Giudici di legittimità per affermare che trattandosi di atto di “straordinaria amministrazione” vincolato ad un provvedimento autorizzativo del giudice, sarà onere del debitore attivarsi presentando istanza di autorizzazione e, una volta ottenuta, procedere al pagamento delle imposte.

Per converso, solo qualora il tribunale dovesse emettere un provvedimento di diniego, vietandogli di procedere al pagamento, si verrebbe a configurare in capo all’agente l’esimente di cui all’art. 51 c.p. e l’omissione contributiva non sarebbe da considerarsi penalmente rilevante.

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