Siamo lieti di ospitare e pubblicare la nota di commento del Prof. Francesco Ardito alla sentenza della Cassazione, sez. terza penale, 11 settembre 2020 – 2 novembre 2020, n. 3029.
__________
La vicenda trae origine dalla impugnazione, proposta da un imprenditore, di un rigetto di riesame di un decreto di sequestro per il reato di omesso versamento di ritenute (art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74).
Nel ricorso per Cassazione la illegittimità del sequestro veniva motivata con la circostanza che era già stato emesso il decreto penale di condanna, ai sensi dell’art. 459 c.p.p..
Il giudice di legittimità ha ritenuto infondato il ricorso, nonostante l’erroneità dell’ordinanza impugnata, in quanto <<il presente giudizio non riguarda il decreto penale, ma il sequestro preventivo. Nei confronti del decreto non sussiste in questa sede, quindi, alcun potere della Corte di Cassazione>>. Anche il motivo di ricorso per violazione di legge per la preclusione cautelare viene considerata infondata poiché le due precedenti richieste di sequestro del pubblico ministero, rigettate dal giudice per le indagini preliminari, <<riguardavano il sequestro per equivalente nei confronti dell’indagato senza una previa richiesta di sequestro diretto nei confronti della società>>.
Ma al di là del rigetto del ricorso, conseguente a valutazioni di ordine esclusivamente processuale, il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte dà un’indicazione puntuale circa il rapporto tra la disciplina del decreto penale di condanna e quella della confisca contenuta nell’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000, cioè in una legge speciale.
In particolare, nell’ipotesi di decreto penale di condanna, che può essere emesso dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, laddove ritiene di dover irrogare una sanzione pecuniaria, direttamente o in sostituzione ai sensi dell’art. 53 l. 24 novembre 1089, n. 689 e, quindi, in riferimento ai reati tributari, generalmente per gli omessi versamenti, il giudice può e deve provvedere, ai sensi dell’art. 460, secondo comma, c.p.p., solo nell’ipotesi di confisca obbligatoria cui all’art. 240, secondo comma c.p..
Di qui la necessità di un coordinamento, meglio di un punto di equilibrio, fra due norme: da un lato la disciplina del decreto penale consente la confisca solo laddove obbligatoria, cioè consente la confisca solo del prezzo del reato (art. 240, secondo comma c.p.); dall’altro l’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 che, in specifico riferimento ai reati tributari prevede che <<nel caso di condanna o di applicazione della pena […] è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo>>.
In sintesi. Se si ritiene prevalente la disciplina generale del Codice, il profitto del reato tributario, cioè il vantaggio economico conseguente alla commissione del reato, non è confiscabile (e, quindi, sequestrabile) qualora venga emesso un decreto penale di condanna; mentre, se prevalente è la disciplina speciale, allora anche nell’ipotesi di decreto penale di condanna, è sequestrabile il profitto del reato.
La Suprema Corte, richiamando la consolidata giurisprudenza, afferma che nell’ipotesi di decreto penale di condanna l’unica confisca possibile è quella dell’art. 240, secondo comma c.p. (il prezzo del reato), mentre non sono applicabili le confische sanzionatoria previste dalle leggi speciali, anche se obbligatorie.
Una diversa soluzione non appare possibile. Infatti, per estendere la possibilità della confisca del profitto del reato tributario anche nell’ipotesi di decreto penale, si dovrebbe o estendere analogicamente l’applicazione dell’art. 460, secondo comma c.p.p. a tutti i casi di confisca obbligatoria oppure ritenere che la disciplina dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 sia applicabile, sempre in via analogica, anche al decreto penale di condanna. Interpretazioni che sono entrambe da escludere perché in evidente contrasto con il principio del divieto di analogia previsto dall’art. 14 delle preleggi.
A ciò va aggiunto che la confisca di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 ha natura sanzionatoria, cioè ha natura punitiva nei confronti dell’autore del reato tributario e mira a colpirlo nei suoi beni. In quanto sanzionatoria è un provvedimento ablativo a volte più pesante della sanzione principale, per cui appare razionale pensare che il legislatore, oltre a espressamente tipizzare i casi di applicazione di questa sanzione aggiuntiva, abbia inteso escluderla nel caso di decreto penale di condanna che riguarda illeciti meno gravi: <<nella strategia sanzionatoria e deterrente del legislatore…decreto penale ed esclusione della confisca appaiono in sintonia>>
Prof. Francesco Ardito
IL DECRETO PENALE DI CONDANNA PER REATI TRIBUTARI NON PUO’ PREVEDERE LA CONFISCA DEL PROFITTO DEL REATO.
Siamo lieti di ospitare e pubblicare la nota di commento del Prof. Francesco Ardito alla sentenza della Cassazione, sez. terza penale, 11 settembre 2020 – 2 novembre 2020, n. 3029.
__________
La vicenda trae origine dalla impugnazione, proposta da un imprenditore, di un rigetto di riesame di un decreto di sequestro per il reato di omesso versamento di ritenute (art. 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74).
Nel ricorso per Cassazione la illegittimità del sequestro veniva motivata con la circostanza che era già stato emesso il decreto penale di condanna, ai sensi dell’art. 459 c.p.p..
Il giudice di legittimità ha ritenuto infondato il ricorso, nonostante l’erroneità dell’ordinanza impugnata, in quanto <<il presente giudizio non riguarda il decreto penale, ma il sequestro preventivo. Nei confronti del decreto non sussiste in questa sede, quindi, alcun potere della Corte di Cassazione>>. Anche il motivo di ricorso per violazione di legge per la preclusione cautelare viene considerata infondata poiché le due precedenti richieste di sequestro del pubblico ministero, rigettate dal giudice per le indagini preliminari, <<riguardavano il sequestro per equivalente nei confronti dell’indagato senza una previa richiesta di sequestro diretto nei confronti della società>>.
Ma al di là del rigetto del ricorso, conseguente a valutazioni di ordine esclusivamente processuale, il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte dà un’indicazione puntuale circa il rapporto tra la disciplina del decreto penale di condanna e quella della confisca contenuta nell’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000, cioè in una legge speciale.
In particolare, nell’ipotesi di decreto penale di condanna, che può essere emesso dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, laddove ritiene di dover irrogare una sanzione pecuniaria, direttamente o in sostituzione ai sensi dell’art. 53 l. 24 novembre 1089, n. 689 e, quindi, in riferimento ai reati tributari, generalmente per gli omessi versamenti, il giudice può e deve provvedere, ai sensi dell’art. 460, secondo comma, c.p.p., solo nell’ipotesi di confisca obbligatoria cui all’art. 240, secondo comma c.p..
Di qui la necessità di un coordinamento, meglio di un punto di equilibrio, fra due norme: da un lato la disciplina del decreto penale consente la confisca solo laddove obbligatoria, cioè consente la confisca solo del prezzo del reato (art. 240, secondo comma c.p.); dall’altro l’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 che, in specifico riferimento ai reati tributari prevede che <<nel caso di condanna o di applicazione della pena […] è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo>>.
In sintesi. Se si ritiene prevalente la disciplina generale del Codice, il profitto del reato tributario, cioè il vantaggio economico conseguente alla commissione del reato, non è confiscabile (e, quindi, sequestrabile) qualora venga emesso un decreto penale di condanna; mentre, se prevalente è la disciplina speciale, allora anche nell’ipotesi di decreto penale di condanna, è sequestrabile il profitto del reato.
La Suprema Corte, richiamando la consolidata giurisprudenza, afferma che nell’ipotesi di decreto penale di condanna l’unica confisca possibile è quella dell’art. 240, secondo comma c.p. (il prezzo del reato), mentre non sono applicabili le confische sanzionatoria previste dalle leggi speciali, anche se obbligatorie.
Una diversa soluzione non appare possibile. Infatti, per estendere la possibilità della confisca del profitto del reato tributario anche nell’ipotesi di decreto penale, si dovrebbe o estendere analogicamente l’applicazione dell’art. 460, secondo comma c.p.p. a tutti i casi di confisca obbligatoria oppure ritenere che la disciplina dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 sia applicabile, sempre in via analogica, anche al decreto penale di condanna. Interpretazioni che sono entrambe da escludere perché in evidente contrasto con il principio del divieto di analogia previsto dall’art. 14 delle preleggi.
A ciò va aggiunto che la confisca di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 ha natura sanzionatoria, cioè ha natura punitiva nei confronti dell’autore del reato tributario e mira a colpirlo nei suoi beni. In quanto sanzionatoria è un provvedimento ablativo a volte più pesante della sanzione principale, per cui appare razionale pensare che il legislatore, oltre a espressamente tipizzare i casi di applicazione di questa sanzione aggiuntiva, abbia inteso escluderla nel caso di decreto penale di condanna che riguarda illeciti meno gravi: <<nella strategia sanzionatoria e deterrente del legislatore…decreto penale ed esclusione della confisca appaiono in sintonia>>
Prof. Francesco Ardito