Cassazione, sezione terza penale, 18 settembre 2020 – 14 dicembre 2020, n. 35696.
In tema di crisi di liquidità quale causa di forza maggiore ai fini della esclusione della tipicità del reato di omesso versamento dell’I.v.a. di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, la Suprema Corte conferma il proprio orientamento in tema di principi: è l’imprenditore che deve provare di aver posto in essere, senza successo per causa a lui non imputabile, tutte le misure idonee a reperire la liquidità necessaria per adempiere al proprio obbligo di versamento dell’I.v.a.. In sostanza, l’imprenditore deve provare che la crisi non sarebbe stata diversamente fronteggiabile, anche considerando misure sfavorevoli per il proprio patrimonio personale.
Perplessità genera l’affermazione del Supremo Collegio secondo cui, laddove l’omesso versamento sia dipeso dal mancato incasso dell’I.v.a. per inadempimento altrui, è necessario provare i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo ovvero all’inadempimento contrattuale del proprio cliente.
Infatti, non è il contribuente (cedente o commissionario) che decide quando emettere la fattura. Qualora si tratti di prestazioni di servizio, allora l’obbligo di emettere la fattura sorge con il pagamento e, quindi, in questo caso appare corretta la posizione del Supremo Collegio, ma nell’ipotesi di cessione di beni l’operazione si perfeziona e la fattura deve essere emessa con la consegna (per i beni mobili) o la stipula dell’atto (per i beni immobili), a nulla rilevando il momento del pagamento del corrispettivo.
Interessante appare la posizione dei Giudici di legittimità rispetto profilo probatorio. Infatti, l’annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado, viene motivato con la circostanza che i giudici di appello non avrebbero considerato la testimonianza del consulente fiscale che aveva precisato che l’imputato non aveva incassato somme oggetto di fatture per canoni di locazione e che il tentativo di superare la progressiva contrazione dei flussi di classe, tramite la sottoscrizione di un piano di ristrutturazione con gli istituti di credito, non aveva consentito di superare lo stato di crisi in quanto gli istituti di credito avevano destinato la liquidità di cui la società rappresentata dall’imputato avrebbe dovuto disporre, alla copertura di passività preesistenti. Situazione questa per la quale la società aveva promosso un contenzioso civile con le banche.
Appare di pregio e, per certi versi, nuova la posizione della Suprema Corte laddove individua nelle dichiarazioni del consulente un elemento probatorio utile per dimostrare la sussistenza degli elementi sintomatici della crisi di liquidità quale causa di forza maggiore.
Prof. Francesco Ardito
LA DICHIARAZIONE DEL CONSULENTE QUALE ELEMENTO PROBATORIO UTILE PER DIIMOSTRARE LA CRISI DI LQIUIDITA’.
Cassazione, sezione terza penale, 18 settembre 2020 – 14 dicembre 2020, n. 35696.
In tema di crisi di liquidità quale causa di forza maggiore ai fini della esclusione della tipicità del reato di omesso versamento dell’I.v.a. di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, la Suprema Corte conferma il proprio orientamento in tema di principi: è l’imprenditore che deve provare di aver posto in essere, senza successo per causa a lui non imputabile, tutte le misure idonee a reperire la liquidità necessaria per adempiere al proprio obbligo di versamento dell’I.v.a.. In sostanza, l’imprenditore deve provare che la crisi non sarebbe stata diversamente fronteggiabile, anche considerando misure sfavorevoli per il proprio patrimonio personale.
Perplessità genera l’affermazione del Supremo Collegio secondo cui, laddove l’omesso versamento sia dipeso dal mancato incasso dell’I.v.a. per inadempimento altrui, è necessario provare i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo ovvero all’inadempimento contrattuale del proprio cliente.
Infatti, non è il contribuente (cedente o commissionario) che decide quando emettere la fattura. Qualora si tratti di prestazioni di servizio, allora l’obbligo di emettere la fattura sorge con il pagamento e, quindi, in questo caso appare corretta la posizione del Supremo Collegio, ma nell’ipotesi di cessione di beni l’operazione si perfeziona e la fattura deve essere emessa con la consegna (per i beni mobili) o la stipula dell’atto (per i beni immobili), a nulla rilevando il momento del pagamento del corrispettivo.
Interessante appare la posizione dei Giudici di legittimità rispetto profilo probatorio. Infatti, l’annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado, viene motivato con la circostanza che i giudici di appello non avrebbero considerato la testimonianza del consulente fiscale che aveva precisato che l’imputato non aveva incassato somme oggetto di fatture per canoni di locazione e che il tentativo di superare la progressiva contrazione dei flussi di classe, tramite la sottoscrizione di un piano di ristrutturazione con gli istituti di credito, non aveva consentito di superare lo stato di crisi in quanto gli istituti di credito avevano destinato la liquidità di cui la società rappresentata dall’imputato avrebbe dovuto disporre, alla copertura di passività preesistenti. Situazione questa per la quale la società aveva promosso un contenzioso civile con le banche.
Appare di pregio e, per certi versi, nuova la posizione della Suprema Corte laddove individua nelle dichiarazioni del consulente un elemento probatorio utile per dimostrare la sussistenza degli elementi sintomatici della crisi di liquidità quale causa di forza maggiore.
Prof. Francesco Ardito