IL REATO DI INDEBITA COMPENSAZIONE DI CUI ALL’ART. 10-QUATER D.LGS. N. 74/2000 SUSSISTE ANCHE QUANDO VENGONO ESTINTI DEBITI PER TRIBUTI DIVERSI DALLE IMPOSTE DIRETTE E DALL’I.V.A. E CONTRIBUTI PREVIDENZIALI O ASSISTENZIALI.

Pubblichiamo la nota del Prof. Francesco Ardito a: Cass., sez. III pen., 18 settembre 2020 – depositata l’8 gennaio 2021, n. 389.

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La Suprema Corte ribadisce che la sfera di operatività del reato di indebita compensazione, di cui all’art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000, si estende alla compensazione “orizzontale”, anche nell’ipotesi in cui il debito estinto non sia di natura tributaria bensì previdenziale o assistenziale.

L’art. 17 del d.lgs. n. 241/1997 disciplina le diverse ipotesi di compensazione orizzontale prevedendo la possibilità per il contribuente di effettuare un versamento unitario (modello F24) delle imposte, dei contributi IMPS e delle altre somme dovute a Stato, Regioni e altri Enti previdenziali. Contestualmente è previsto che il contribuente, sempre con il modello F24, possa portare quanto dovuto per questi titoli in compensazione con i crediti vantati nei confronti dei medesimi soggetti, nel medesimo periodo d’imposta e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate.

In questo modo il legislatore ha notevolmente ampliato l’ambito applicativo dell’istituto della compensazione tra crediti e debiti di natura non solo tributaria, consentendone l’utilizzo in tutti i rapporti obbligatori contrapposti che riguardino tributi di natura diversa ovvero prestazioni non aventi natura tributaria, bensì previdenziale o assistenziale.

L’elemento di criticità della norma, frutto evidentemente della circostanza che è stata introdotta con un decreto-legge e, quindi, sottratta alla ordinaria dialettica parlamentare, attiene alla sua ampiezza applicativa nel senso che non è chiaro se il mancato versamento, cioè il debito estinto, per effetto della indebita compensazione riguardi solo le imposte dirette e l’I.v.a. oppure tutti i tributi (erariali e locali) e i contributi previdenziali e assistenziali per i quali è ammessa la compensazione.

Sul punto, l’orientamento della Suprema Corte è contraddittorio.

In alcune decisioni è stata negata la possibilità di configurare, nel caso di omesso versamento di contributi previdenziali o assistenziali, il reato di cui all’art. 10-quater in quanto la fattispecie di indebita compensazione sussiste soltanto se l’omesso pagamento, per effetto dell’illecita compensazione, riguardi le imposte sui redditi e l’IVA, non potendosi estendere anche agli inadempimenti di altre imposte né ai contributi (Cass., 3 novembre 2014, n. 45225, Cass. 19 aprile 2016, n. 15989 e Cass., 13 settembre 2019, n. 38042).

Invece, la sentenza in commento aderisce alla tesi secondo la quale il reato di indebita compensazione si configura anche nel caso in cui il debito estinto non abbia natura tributaria bensì previdenziale o assistenziale (Cass., 13 aprile 2012, n. 13996, Cass., 28 aprile 2020, n. 13149).

L’interpretazione estensiva della fattispecie delittuosa fa leva su due argomentazioni: l’art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000 fa riferimento espresso al mancato versamento di “somme dovute” attraverso l’indebita compensazione con crediti indebiti o inesistenti, senza che nella disposizione sia contenuto alcun riferimento limitativo ai debiti del contribuente a solo titolo di imposte dirette e di I.v.a.; la ratio dell’art. 10-quater deve essere individuata nella punibilità di tutti quei comportamenti che si concretizzano nell’omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio d’imposta mediante il ricorso all’istituto della compensazione tributaria, cioè la redazione di un documento ideologicamente falso che è idoneo a rappresentare una compensazione che di per sé non avrebbe potuto avere luogo o per la non spettanza o per la inesistenza del credito.

Ma si tratta di un’interpretazione assolutamente non condivisibile in quanto priva di fondamento giuridico. Innanzitutto, è completamente estranea al contesto normativo di riferimento: il d.lgs. n. 74/2000 disciplina i reati in materia di imposte dirette e di I.v.a. e, quindi, ritenere che l’art. 10-quater si riferisca ad altri tributi o anche ai contributi previdenziali e assistenziali è del tutto estraneo e asistemico rispetto al contesto normativo.

Inoltre, il bene giuridico tutelato dall’art. 10-quater è l’interesse dell’Erario alla corretta percezione dei tributi con la conseguenza che, l’estensione dell’ambito applicativo della fattispecie, non trova alcun aggancio nel bene giuridico tutelato.

E, poi, c’è un problema di tassatività e determinatezza della fattispecie penale. Si deve considerare, infatti, che il novero dei tributi per i quali è possibile la compensazione ex art. 17 del d.lgs. n. 241/1997 non è predeterminato ex ante da una norma di rango primario, ma può variare per effetto di provvedimenti aventi rango inferiore. Così, a interpretare in maniera estensiva l’art. 10-quater si finisce per delineare un ambito applicativo della fattispecie punitiva “a geometria variabile” con una palese violazione dei principi fissati dall’art. 25 Cost..

Quella espressa dalla Suprema Corte nella sentenza in commento è, dunque, una posizione sganciata da qualsiasi principio di diritto e che, evidentemente, risponde solo ed esclusivamente ad una logica: attribuire alla sanzione penale in materia tributaria una funzione palingenetica, vista l’incapacità del legislatore di individuare altri strumenti per contenere l’evasione.

Prof. Francesco Ardito.

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