Con la sentenza n. 6537 del 19 febbraio 2021 la terza sezione della Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il divieto, stabilito dall’art. 22 d.p.r. 797 del 1995, di pignoramento delle somme percepite a titolo di assegno per il nucleo familiare non opera quando le somme siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare“.
Nel caso posto all’attenzione della Corte, il ricorrente lamentava l’illegittimità del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di una somma di denaro, costituente profitto del reato di cui all’art. 10 ter d. lgs. 74/2000. In esecuzione del predetto decreto erano state sottoposte a sequestro somme giacenti sul conto corrente intestato al ricorrente e corrispondenti a quanto erogato dall’INPS a titolo di arretrati per assegni per il nucleo familiare. Ad avviso del ricorrente tali somme non avrebbero potuto essere assoggettate a sequestro in quanto impognaribili ai sensi dell’art. 545 c.p.c. e 22 d.p.r. 797/1955.
Il co. 2 dell’art. 545 stabilisce, infatti, che “Non possono essere pignorati i crediti alimentari (…). Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazioni, da enti di assistenza, o da istituti di benefiienza“. Con riferimento specifico agli assegni per il nucleo familiare (che, in forza del del D.L. 69/88 hanno sostIuito gli assegni familiari), il co. 3 del’art. 2 D.L. 69/88 rinvia all’art. 22 d.p.r. 797/55 che recita “Gli assegni familiari non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti se non per cause di alimenti a favore di coloro per i quali gli assegni sono corrisposti“.
Nell’esaminare il ricorso la Corte preliminarmente si sofferma sulla legittmità della predetta doglianza, prospettata dinanzi al Tribunale del riesame ma da questi rigettata sul presupposto che la stessa attenesse alle modalità esecutive del decreto di sequestro. Diversamente la Cassazione rileva che la questione oggetto dell’impugnazione proposta dai ricorrenti attenga proprio alla legittimità del decreto. In particolare, la sentenza richiama la decisione delle SS. UU. n. 38670 del 21 luglio 2016, nella quale si afferma che il controllo demandato al Tribunale del riesame è pieno e non soffre delimitazioni, in quanto deve tendere alla verifica della legittmità della misura ablativa sotto tutti i suoi profili, compresi quelli civilistici. Il presupposto posto a fondamento di tale conclusione è che i limiti alla pignorabilità dei beni sono posti a presidio degli inviolabili valori costituzionali della dignità della persona; valori che evidentemente non possono subire sacrifici nemmeno in sede penale, a seguito di eventuale confisca. La legittimità del sequestro va dunque verificata “in relazione ai limiti imposti dall’art. 545 c.p.c. (crediti impignoribili), o ancora alla normativa speciale sugli stipendi e compensi di qualunque specie dovuti ai pubblici dipendenti; o dalla diversa normativa sugli assegni vitalizi, sulle polizze assicurative o ai numerosi altri crediti regolati dal codice civile come sottratti al pignoramento (…)”.
Tanto premesso, la Corte osserva che, tuttavia, tali somme non sarebbero soggette ai limiti di pignorabilità di cui alle citate disposizioni, in quanto costituite da somme giacenti su un conto corrente e corrisposte a titolo di arretrati di assegni per il nucleo familiare. Proprio perchè arretrati le stesse non avrebbero più quella natura alimentare prevista dall’art. 545 c.p.c., non andando a soddisfare bisogni economici attuali; con la conseguenza che le stesse devono essere trattate come un qualsiasi bene fungibile appartenente al patrimonio mobiliare dell’interessato.
Ma soprattutto non godono della tutela apprestata dall’art. 545 co. 8 c.p.c.. Tale comma, introdotto con il D.L. n. 83/2015, nel dettare dei limiti specifici al pignoramento delle somme accreditate su un conto corrente a titolo di stipendio, pensione, indennizzo, assegni di quiescenza, non menziona gli assegni familiari o al nucleo familiare, che dunque non godono del presidio previsto dalla disposizione.
Con la conseguenza che il pignoramento, e quindi anche il sequetro a fini di confisca, di somme accreditate su un conto corrente a titolo di assegni per il nucleo familiare, soprattutto se a titolo di arretrati o comunque se corrisposte in epoca datata rispetto agli atti ablativi, non è soggetto alle predette limitiazioni.
LEGITTIMA LA CONFISCA PER EQUIVALENTE DELLE SOMME PERCEPITE A TITOLO DI ASSEGNI PER IL NUCLEO FAMILIARE
Con la sentenza n. 6537 del 19 febbraio 2021 la terza sezione della Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il divieto, stabilito dall’art. 22 d.p.r. 797 del 1995, di pignoramento delle somme percepite a titolo di assegno per il nucleo familiare non opera quando le somme siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare“.
Nel caso posto all’attenzione della Corte, il ricorrente lamentava l’illegittimità del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di una somma di denaro, costituente profitto del reato di cui all’art. 10 ter d. lgs. 74/2000. In esecuzione del predetto decreto erano state sottoposte a sequestro somme giacenti sul conto corrente intestato al ricorrente e corrispondenti a quanto erogato dall’INPS a titolo di arretrati per assegni per il nucleo familiare. Ad avviso del ricorrente tali somme non avrebbero potuto essere assoggettate a sequestro in quanto impognaribili ai sensi dell’art. 545 c.p.c. e 22 d.p.r. 797/1955.
Il co. 2 dell’art. 545 stabilisce, infatti, che “Non possono essere pignorati i crediti alimentari (…). Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazioni, da enti di assistenza, o da istituti di benefiienza“. Con riferimento specifico agli assegni per il nucleo familiare (che, in forza del del D.L. 69/88 hanno sostIuito gli assegni familiari), il co. 3 del’art. 2 D.L. 69/88 rinvia all’art. 22 d.p.r. 797/55 che recita “Gli assegni familiari non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti se non per cause di alimenti a favore di coloro per i quali gli assegni sono corrisposti“.
Nell’esaminare il ricorso la Corte preliminarmente si sofferma sulla legittmità della predetta doglianza, prospettata dinanzi al Tribunale del riesame ma da questi rigettata sul presupposto che la stessa attenesse alle modalità esecutive del decreto di sequestro. Diversamente la Cassazione rileva che la questione oggetto dell’impugnazione proposta dai ricorrenti attenga proprio alla legittimità del decreto. In particolare, la sentenza richiama la decisione delle SS. UU. n. 38670 del 21 luglio 2016, nella quale si afferma che il controllo demandato al Tribunale del riesame è pieno e non soffre delimitazioni, in quanto deve tendere alla verifica della legittmità della misura ablativa sotto tutti i suoi profili, compresi quelli civilistici. Il presupposto posto a fondamento di tale conclusione è che i limiti alla pignorabilità dei beni sono posti a presidio degli inviolabili valori costituzionali della dignità della persona; valori che evidentemente non possono subire sacrifici nemmeno in sede penale, a seguito di eventuale confisca. La legittimità del sequestro va dunque verificata “in relazione ai limiti imposti dall’art. 545 c.p.c. (crediti impignoribili), o ancora alla normativa speciale sugli stipendi e compensi di qualunque specie dovuti ai pubblici dipendenti; o dalla diversa normativa sugli assegni vitalizi, sulle polizze assicurative o ai numerosi altri crediti regolati dal codice civile come sottratti al pignoramento (…)”.
Tanto premesso, la Corte osserva che, tuttavia, tali somme non sarebbero soggette ai limiti di pignorabilità di cui alle citate disposizioni, in quanto costituite da somme giacenti su un conto corrente e corrisposte a titolo di arretrati di assegni per il nucleo familiare. Proprio perchè arretrati le stesse non avrebbero più quella natura alimentare prevista dall’art. 545 c.p.c., non andando a soddisfare bisogni economici attuali; con la conseguenza che le stesse devono essere trattate come un qualsiasi bene fungibile appartenente al patrimonio mobiliare dell’interessato.
Ma soprattutto non godono della tutela apprestata dall’art. 545 co. 8 c.p.c.. Tale comma, introdotto con il D.L. n. 83/2015, nel dettare dei limiti specifici al pignoramento delle somme accreditate su un conto corrente a titolo di stipendio, pensione, indennizzo, assegni di quiescenza, non menziona gli assegni familiari o al nucleo familiare, che dunque non godono del presidio previsto dalla disposizione.
Con la conseguenza che il pignoramento, e quindi anche il sequetro a fini di confisca, di somme accreditate su un conto corrente a titolo di assegni per il nucleo familiare, soprattutto se a titolo di arretrati o comunque se corrisposte in epoca datata rispetto agli atti ablativi, non è soggetto alle predette limitiazioni.