Con la sentenza n. 20188 del 21 maggio 2021 la terza sezione della Cassazione interviene sul tema della responsabilità del liquidatore per il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto di cui all’art. 10 ter d. lgs. 74/2000.
Nel caso giudicato dalla Corte, il liquidatore di una società a responsabilità limitata era stata condannato anche in secondo grado per il reato di omesso versamento dell’IVA dovuta con riferimento all’annualità 2014.
Avverso la sentenza d’appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che l’impugnata sentenza incorresse sia in un vizio di violazione di legge, che in una manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Più precisamente, ad avviso del ricorrente, la sentenza avrebbe disatteso l’art. 36 d.p.r. 602/73, in forza del quale la condotta del liquidatore sarebbe idonea ad integrare il reato omissivo solo qualora il mancato pagamento dell’imposta fosse frutto di condotte distrattive poste in essere dallo stesso liquidatore, o comunque fosse la conseguenza di un comportamento caratterizzato dalla destinazione ad altri scopi delle somme necessarie al pagamento delle imposte.
Inoltre, con riferimento all’elemento psicologico del reato, la motivazione della sentenza di condanna non avrebbe tenuto in alcuna considerazione la circostanza che l’imputato veniva nominato liquidatore solo nel corso dell’anno 2015, e non aveva potuto provvedere al pagamento dell’IVA stante la situazione di illiquidità della società, non essendo state accantonate da parte del precedente amministratore le somme necessarie al pagamento dell’imposta.
La Corte ha ritenuto non fondate entrambe le censure del ricorrente.
L’art. 36 recita: “I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attivita’ della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, tale disposizione, ad avviso dei giudici di legittimità, non introdurrebbe alcuna limitazione alla responsabilità penale del liquidatore per il mancato pagamento delle imposte, ed in ogni caso non certo per il mancato pagamento dell’IVA. Rileva la Corte che la norma, oltre a non operare alcun riferimento all’imposta sul valore aggiunto, si limita a stabilire il carattere solidale/civilistico della responsabilità del liquidatore per il mancato pagamento dell’imposta sui redditi dovuta dalla società di cui il liquidatore ha assunto la gestione. Tale interpretazione troverebbe conferma sia nella disciplina speciale prevista dal d. lgs. 74/2000, nell’ambito della quale non si rinvengono disposizioni che escludono l’applicazione dell’art. 10 ter d. lgs. 74/2000 alla figura del liquidatore; sia nel fatto che il credito dell’amministrazione finanziaria di cui al citato art. 36 non si configura quale credito strettamente tributario, bensì, come credito di natura civilistica, discendente dagli obblighi e responsabilità previsti dagli artt. 2487 e ss. c.c.. Ne deriva che l’art. 36 d.p.r. 603/73 non farebbe altro che prevedere una responsabilità in capo al liquidatore che si aggiunge alla responsabilità di natura penale.
La Corte ritiene priva di pregio anche la censura in ordine all’assenza del dolo del reato, per l’impossibilità del pagamento dell’imposta causato dalla mancanza di liquidità della società da imputarsi al precedente organo amministrativo. Rileva infatti la Cassazione che anche per il liquidatore deve trovare applicazione il consolidato principio di diritto secondo il quale: l’amministratore che subentra nella carica prima della scadenza del versamento dell’imposta risponde del reato a titolo di dolo eventuale. Anche il liquidatore, dunque, se, prima dell’accettazione dell’incarico, omette il previo controllo contabile sugli adempimenti fiscali, “si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possano derivare dalla pregresse inadempienze“.
Invero le argomentazioni fatte proprie dalla Corte con riferimento al citato art. 36 appaiono eccessivamente semplicistiche. Innanzitutto con il d. lgs. 175/2014 l’ambito di applicazione della disposizione non è più circoscritto alle imposte sui redditi in quanto si ritiene esteso a tutti i tributi. Sotto altro profilo se è vero che la ratio della disposizione non è quella di introdurre un’ipotesi di limitazione di responsabilità in sede penale, quanto piuttosto quella di consentire all’amministrazione finanziaria di beneficiare di un mezzo di esecuzione diretto per il soddisfacimento del proprio credito; è altresì vero che la stessa non può non riverberare i propri effetti anche in sede penale, nella misura in cui condiziona la responsabilità del liquidatore alla circostanza per la quale l’omesso pagamento costituisca la conseguenza del mancato rispetto dell’ordine gerarchico che presidia il pagamento dei debiti che gravano sulla società in liquidazione. In questo senso, come giustamente rilevato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 21987 del 26 maggio 2016, risulterebbe del tutto irragionevole imporre al liquidatore l’obbligo di osservare un ordine gerarchico nell’assolvimento delle posizione debitorie (nell’ambito del quale rientrano anche quelle fiscali) e dall’altro prevederne la responsabilità penale qualora l’osservanza dei criteri di riparto della liquidazione conducano al mancato pagamento dellE imposte.
Ancora meno condivisibile è l’affermazione per la quale il mancato esercizio dei preliminari controlli contabili esporrebbe il liquidatore a tutte le conseguenze che possono derivare dalle pregresse inadempienze. E’ del tutto evidente che la capacità della società in liquidazione di soddisfare tutte le proprie esposizione debitorie (incluse quelle fiscali) dipenderà dal ricavato della liquidazione dei beni della società, il cui esito presenta inevitabili margini di aleatorietà ed incertezza. Ne deriva la concreta e seria possibilità che il mancato pagamento delle imposte possa non essere stato oggetto di rappresentazione in capo al liquidatore, senza che ciò, peraltro, sia conseguenza di negligenze o imperizia. La conclusione della Cassazione dovrebbe pertanto ritenersi limitata a quelle ipotesi nelle quali le condizioni patrimoniali della società non potevano non consentire al liquidatore di rappresentarsi, già in sede di accettazione dell’incarico, l’impossibilità di far fronte al pagamento delle imposte dovute.
RISPONDE DI OMESSO VERSAMENTO IVA IL LIQUIDATORE CHE OMETTE I PRELIMINARI CONTROLLI SUGLI ADEMPIMENTI FISCALI
Con la sentenza n. 20188 del 21 maggio 2021 la terza sezione della Cassazione interviene sul tema della responsabilità del liquidatore per il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto di cui all’art. 10 ter d. lgs. 74/2000.
Nel caso giudicato dalla Corte, il liquidatore di una società a responsabilità limitata era stata condannato anche in secondo grado per il reato di omesso versamento dell’IVA dovuta con riferimento all’annualità 2014.
Avverso la sentenza d’appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che l’impugnata sentenza incorresse sia in un vizio di violazione di legge, che in una manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Più precisamente, ad avviso del ricorrente, la sentenza avrebbe disatteso l’art. 36 d.p.r. 602/73, in forza del quale la condotta del liquidatore sarebbe idonea ad integrare il reato omissivo solo qualora il mancato pagamento dell’imposta fosse frutto di condotte distrattive poste in essere dallo stesso liquidatore, o comunque fosse la conseguenza di un comportamento caratterizzato dalla destinazione ad altri scopi delle somme necessarie al pagamento delle imposte.
Inoltre, con riferimento all’elemento psicologico del reato, la motivazione della sentenza di condanna non avrebbe tenuto in alcuna considerazione la circostanza che l’imputato veniva nominato liquidatore solo nel corso dell’anno 2015, e non aveva potuto provvedere al pagamento dell’IVA stante la situazione di illiquidità della società, non essendo state accantonate da parte del precedente amministratore le somme necessarie al pagamento dell’imposta.
La Corte ha ritenuto non fondate entrambe le censure del ricorrente.
L’art. 36 recita: “I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attivita’ della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, tale disposizione, ad avviso dei giudici di legittimità, non introdurrebbe alcuna limitazione alla responsabilità penale del liquidatore per il mancato pagamento delle imposte, ed in ogni caso non certo per il mancato pagamento dell’IVA. Rileva la Corte che la norma, oltre a non operare alcun riferimento all’imposta sul valore aggiunto, si limita a stabilire il carattere solidale/civilistico della responsabilità del liquidatore per il mancato pagamento dell’imposta sui redditi dovuta dalla società di cui il liquidatore ha assunto la gestione. Tale interpretazione troverebbe conferma sia nella disciplina speciale prevista dal d. lgs. 74/2000, nell’ambito della quale non si rinvengono disposizioni che escludono l’applicazione dell’art. 10 ter d. lgs. 74/2000 alla figura del liquidatore; sia nel fatto che il credito dell’amministrazione finanziaria di cui al citato art. 36 non si configura quale credito strettamente tributario, bensì, come credito di natura civilistica, discendente dagli obblighi e responsabilità previsti dagli artt. 2487 e ss. c.c.. Ne deriva che l’art. 36 d.p.r. 603/73 non farebbe altro che prevedere una responsabilità in capo al liquidatore che si aggiunge alla responsabilità di natura penale.
La Corte ritiene priva di pregio anche la censura in ordine all’assenza del dolo del reato, per l’impossibilità del pagamento dell’imposta causato dalla mancanza di liquidità della società da imputarsi al precedente organo amministrativo. Rileva infatti la Cassazione che anche per il liquidatore deve trovare applicazione il consolidato principio di diritto secondo il quale: l’amministratore che subentra nella carica prima della scadenza del versamento dell’imposta risponde del reato a titolo di dolo eventuale. Anche il liquidatore, dunque, se, prima dell’accettazione dell’incarico, omette il previo controllo contabile sugli adempimenti fiscali, “si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possano derivare dalla pregresse inadempienze“.
Invero le argomentazioni fatte proprie dalla Corte con riferimento al citato art. 36 appaiono eccessivamente semplicistiche. Innanzitutto con il d. lgs. 175/2014 l’ambito di applicazione della disposizione non è più circoscritto alle imposte sui redditi in quanto si ritiene esteso a tutti i tributi. Sotto altro profilo se è vero che la ratio della disposizione non è quella di introdurre un’ipotesi di limitazione di responsabilità in sede penale, quanto piuttosto quella di consentire all’amministrazione finanziaria di beneficiare di un mezzo di esecuzione diretto per il soddisfacimento del proprio credito; è altresì vero che la stessa non può non riverberare i propri effetti anche in sede penale, nella misura in cui condiziona la responsabilità del liquidatore alla circostanza per la quale l’omesso pagamento costituisca la conseguenza del mancato rispetto dell’ordine gerarchico che presidia il pagamento dei debiti che gravano sulla società in liquidazione. In questo senso, come giustamente rilevato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 21987 del 26 maggio 2016, risulterebbe del tutto irragionevole imporre al liquidatore l’obbligo di osservare un ordine gerarchico nell’assolvimento delle posizione debitorie (nell’ambito del quale rientrano anche quelle fiscali) e dall’altro prevederne la responsabilità penale qualora l’osservanza dei criteri di riparto della liquidazione conducano al mancato pagamento dellE imposte.
Ancora meno condivisibile è l’affermazione per la quale il mancato esercizio dei preliminari controlli contabili esporrebbe il liquidatore a tutte le conseguenze che possono derivare dalle pregresse inadempienze. E’ del tutto evidente che la capacità della società in liquidazione di soddisfare tutte le proprie esposizione debitorie (incluse quelle fiscali) dipenderà dal ricavato della liquidazione dei beni della società, il cui esito presenta inevitabili margini di aleatorietà ed incertezza. Ne deriva la concreta e seria possibilità che il mancato pagamento delle imposte possa non essere stato oggetto di rappresentazione in capo al liquidatore, senza che ciò, peraltro, sia conseguenza di negligenze o imperizia. La conclusione della Cassazione dovrebbe pertanto ritenersi limitata a quelle ipotesi nelle quali le condizioni patrimoniali della società non potevano non consentire al liquidatore di rappresentarsi, già in sede di accettazione dell’incarico, l’impossibilità di far fronte al pagamento delle imposte dovute.