ESTINZIONE DEL DEBITO TRIBUTARIO MEDIANTE COMPENSAZIONE E REVOCA DEL SEQUESTRO PREVENTIVO

Con la sentenza del 7 luglio 2021 n. 25792, la Suprema Corte torna ad occuparsi dell’istituto della compensazione tra poste attive e poste passive quale strumento di definizione del debito tributario, annullando con rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma che, in funzione di giudice di appello, aveva rigettato la richiesta di revoca parziale del sequestro preventivo presentata da un contribuente – indagato per un’ipotesi di evasione IVA e destinatario del provvedimento ablativo – fondata sulla circostanza che tra il debitore e l’Erario fosse intervenuto un concordato tributario e dunque il debito era stato assolto.

I Giudici di merito, richiamando la sentenza n. 17806 del 29 gennaio 2020 – della quale ci siamo occupati in questa rivista esprimendo perplessità – avevano disatteso l’istanza di restituzione sul presupposto che l’importo dovuto all’Erario “non era stato corrisposto attraverso un pagamento ma tramite compensazione dei crediti vantati” dal contribuente.

In buona sostanza, sebbene non venga messa in discussione l’intervenuta definizione delle pendenze con il fisco per l’annualità in questione – dimostrata attraverso idonea produzione documentale – i giudici di merito dubitano che l’estinzione del debito attraverso la compensazione produca l’effetto solutorio che costituisce il presupposto indispensabile per la riduzione del sequestro.

Di contrario avviso il Giudice di legittimità che, muovendo dal condivisibile presupposto che vede nella confisca una misura di sicurezza finalizzata a privare il reo del profitto del reato, osserva che, laddove il debito sia stato adempiuto, si dovrà escludere che il reato abbia comportato la realizzazione di un profitto.

La circostanza che alla definizione del contenzioso tributario si sia pervenuti tramite compensazione, si legge in motivazione “è, fattore del tutto irrilevante posto che, in ogni caso, a seguito dell’avvenuta compensazione è venuta meno l’obbligatorietà della prestazione indicata in sede di accertamento con adesione”.

La mancata realizzazione di un profitto – alla luce della estinzione del debito tributario mediante procedura conciliativa – rende dunque inapplicabile la confisca ed il sequestro preventivo che ha, rispetto ad essa, una evidente funzione cautelare strumentale.

Riaffermato il principio della rilevanza della compensazione anche nell’ambito delle conseguenze penali dell’illecito tributario, non si comprende per quale ragione essa non debba valere ai fini dell’applicazione della causa di esclusione delle punibilità prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/2000 qualora ne sussistano i presupposti.

E’ auspicabile, dunque, che la sentenza in commento apra la strada ad un ripensamento della Suprema Corte sulla efficacia dell’estinzione del debito tributario mediante compensazione ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000, abbandonando la visione formalistica che si era soffermata sulla impossibilità di assimilare la “compensazione” al “pagamento” e valorizzando, piuttosto, il presupposto sostanziale della “estinzione” del debito tributario che, laddove avvenuta (anche a mezzo compensazione) fa certamente venir meno la pretesa erariale e dovrebbe escludere – nei casi espressamente previsti – anche le conseguenze afflittive di carattere penale.

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