Nota a Cassazione penale, sez. III, 21 aprile 2021 – 10 agosto 2021, n. 31367.
Al legale rappresentante di una società di capitali veniva contestato il reato di omesso versamento dell’I.v.a., sanzionato dall’art- 10-ter d.lgs. 74/2000 e, in tale contesto, il pubblico ministero richiedeva il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., finalizzato alla confisca di cui all’art. 12-bis d.lgs. 84/2000.
Il giudice rigettava la richiesta del pubblico ministero, mentre il tribunale, cui aveva fatto appello la Procura della Repubblica, disponeva il sequestro finalizzato alla confisca, diretta e per equivalente.
Ricorreva per Cassazione l’interessato eccependo l’errata individuazione dell’imposta dovuta. In particolare, a parere dell’imputato, nel reato di omesso versamento dell’imposta, l’importo da considerare è quello di cui al Rigo VL38 della dichiarazione (“totale IVA dovuta”) che è pari alla differenza tra l’imposta maturata nell’anno (Rigo VL3 della dichiarazione) e quella versata in sede di acconti periodici (Rigo VL30).
Nello specifico, nel rigo VL3 era stata indicata un’imposta dovuta pari ad € 320.196,00 pari alla differenza fra I.v.a. a debito (VL1) e I.v.a. detraibile (VL2) da cui erano stati sottratti i versamenti periodici pari ad € 317.682,00 (VL30). In questo modo, l’I.v.a. non versata sarebbe stato pari ad € 2.504,00 (VL38).
Il punto è che era falso il dato relativo all’I.v.a. versata negli acconti periodici che, in realtà, non era pari ad € 317.682,00 bensì era pari ad € 25.682,88 per cui il debito I.v.a. residuo, cioè l’I.v.a. non versata, era di € 291.694,00, superiore a quanto indicato in dichiarazione e superiore alla soglia di punibilità prevista dal d.lgs. 74/2000.
Quindi, secondo la tesi difensiva e del Gip, ai fini della commissione del reato di omesso versamento dell’I.v.a., l’imposta da considerare è quella di cui al rigo VL38, cioè il totale dell’imposta dovuta considerando i versamenti periodici così come indicati al rigo VL30; mentre per la tesi accusatoria deve farsi riferimento a quanto riportato nel rigo VL3 (imposta dovuta quale differenza fra I.v.a. a debito e I.v.a. detraibile), cioè alla differenza fra le operazioni di competenza.
La Suprema Corte ha accolto la tesi difensiva in quanto il rigo VL3 costituisce un mero “rigo intermedio” della dichiarazione che attesta l’I.v.a. a debito maturata nell’anno d’imposta e non già quella rilevante ai fini della dichiarazione, cioè l’I.v.a. dovuta in base alla dichiarazione annuale così come riportata al rigo VL38 che tiene conto, tra l’altro, dei versamenti periodici riportati in dichiarazione, anche se non rispondenti al vero.
Laddove, però, la dichiarazione contenga dati non veritieri che determinino un debito d’imposta superiore alle soglie di punibilità, allora sarà integrato un reato dichiarativo fra quelli di cui agli artt. 2, 3 o 4 d.lgs. 74/2000 che potrà anche concorrere con il reato di omesso versamento.
In realtà, la posizione espressa dalla Suprema Corte qualche perplessità la suscita.
Infatti, nell’ambito della dichiarazione I.v.a. si distingue una parte dichiarativa vera e propria e una meramente liquidativa.
Quella dichiarativa riguarda la determinazione dell’I.v.a. dovuta per il periodo d’imposta (rigo VL3), il cui calcolo è sintetizzato nella differenza tra i codici VL1 (I.v.a. a debito sulle operazioni attive per le quali il contribuente è debitore d’imposta) e VL2 (I.v.a. detraibile).
Da quel momento in poi, cioè una volta determinata l’I.v.a. dovuta (o a credito) del periodo, la dichiarazione ha una mera funzione liquidativa in cui vengono riportati elementi noti all’amministrazione finanziaria al fine di determinare il saldo da versare o da riportare a nuovo. Tant’è che la procedura di cui all’art. 54-bis D.P.R. n. 633/1972 consiste nella comparazione automatica tra quanto indicato nella dichiarazione proprio nella parte liquidativa rispetto ai dati e alle informazioni in possesso della stessa amministrazione. Così se i versamenti periodici non sono stati eseguiti, il contribuente può riportare ciò che vuole in dichiarazione, ma questa verrà automaticamente modificata e il quarto comma dell’art. 54-bis prevede espressamente che <<i dati contabili risultanti dalla liquidazione prevista dal presente articolo si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente>>.
E’ netta, quindi, la distinzione fra parte dichiarativa e liquidativa della dichiarazione I.v.a. e ciò è confermato dalla diversità di sistema sanzionatorio amministrativo: le sanzioni per la dichiarazioni infedele sono più gravi di quelle irrogate in forza delle correzioni di cui all’art. 54-bis D.P.R. n. 633/1972. Invece, la Suprema Corte le assimila ai fini penalistici per cui la parte liquidativa finisce per avere natura dichiarativa e, quindi, rilevante per l’illecito di questo genere e non per quello relativo al versamento.
Ma va fatta un’ulteriore considerazione. Qualora il falso nella dichiarazione attenga alla parte liquidativa, a parere della Suprema Corte potrà essere integrata una delle fattispecie di reato dichiarativo. Certo non l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 che riguarda esclusivamente la frode mediante l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, condotta che non sussiste nel caso di specie. In riferimento, poi, alle fattispecie di cui agli artt. 3 e 4 d.lgs. n. 74/2000 sembra alquanto impossibile che possa essere integrata la seconda delle soglie di punibilità, cioè la sottrazione all’imposizione di elementi attivi anche mediante l’indicazione indicazione di elementi passivi fittizi (art. 3) o inesistenti (art. 4), per il semplice motivo che siamo nella fase di liquidazione dell’imposta, cioè in quella successiva al rigo VL3, nella quale non rilevano affatto gli elementi attivi e/o passivi ma si tratta solo di determinare l’imposta da versare.
Stando così le cose, la verità è che l’illecito nella liquidazione non rileva, secondo l’orientamento giurisprudenziale in commento, nel reato di omesso versamento ma, nello stesso tempo, non è possibile ricondurlo nell’ambito dei reati dichiarativi, con la conseguenza che si viene a creare un’area di non punibilità certamente poco coerente con la logica e l’impostazione del d.lgs. n. 74/2000.
Francesco Ardito
Nel reato di omesso versamento dell’l’I.v.a. l’imposta va determinata facendo riferimento al rigo VL38
Nota a Cassazione penale, sez. III, 21 aprile 2021 – 10 agosto 2021, n. 31367.
Al legale rappresentante di una società di capitali veniva contestato il reato di omesso versamento dell’I.v.a., sanzionato dall’art- 10-ter d.lgs. 74/2000 e, in tale contesto, il pubblico ministero richiedeva il sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p., finalizzato alla confisca di cui all’art. 12-bis d.lgs. 84/2000.
Il giudice rigettava la richiesta del pubblico ministero, mentre il tribunale, cui aveva fatto appello la Procura della Repubblica, disponeva il sequestro finalizzato alla confisca, diretta e per equivalente.
Ricorreva per Cassazione l’interessato eccependo l’errata individuazione dell’imposta dovuta. In particolare, a parere dell’imputato, nel reato di omesso versamento dell’imposta, l’importo da considerare è quello di cui al Rigo VL38 della dichiarazione (“totale IVA dovuta”) che è pari alla differenza tra l’imposta maturata nell’anno (Rigo VL3 della dichiarazione) e quella versata in sede di acconti periodici (Rigo VL30).
Nello specifico, nel rigo VL3 era stata indicata un’imposta dovuta pari ad € 320.196,00 pari alla differenza fra I.v.a. a debito (VL1) e I.v.a. detraibile (VL2) da cui erano stati sottratti i versamenti periodici pari ad € 317.682,00 (VL30). In questo modo, l’I.v.a. non versata sarebbe stato pari ad € 2.504,00 (VL38).
Il punto è che era falso il dato relativo all’I.v.a. versata negli acconti periodici che, in realtà, non era pari ad € 317.682,00 bensì era pari ad € 25.682,88 per cui il debito I.v.a. residuo, cioè l’I.v.a. non versata, era di € 291.694,00, superiore a quanto indicato in dichiarazione e superiore alla soglia di punibilità prevista dal d.lgs. 74/2000.
Quindi, secondo la tesi difensiva e del Gip, ai fini della commissione del reato di omesso versamento dell’I.v.a., l’imposta da considerare è quella di cui al rigo VL38, cioè il totale dell’imposta dovuta considerando i versamenti periodici così come indicati al rigo VL30; mentre per la tesi accusatoria deve farsi riferimento a quanto riportato nel rigo VL3 (imposta dovuta quale differenza fra I.v.a. a debito e I.v.a. detraibile), cioè alla differenza fra le operazioni di competenza.
La Suprema Corte ha accolto la tesi difensiva in quanto il rigo VL3 costituisce un mero “rigo intermedio” della dichiarazione che attesta l’I.v.a. a debito maturata nell’anno d’imposta e non già quella rilevante ai fini della dichiarazione, cioè l’I.v.a. dovuta in base alla dichiarazione annuale così come riportata al rigo VL38 che tiene conto, tra l’altro, dei versamenti periodici riportati in dichiarazione, anche se non rispondenti al vero.
Laddove, però, la dichiarazione contenga dati non veritieri che determinino un debito d’imposta superiore alle soglie di punibilità, allora sarà integrato un reato dichiarativo fra quelli di cui agli artt. 2, 3 o 4 d.lgs. 74/2000 che potrà anche concorrere con il reato di omesso versamento.
In realtà, la posizione espressa dalla Suprema Corte qualche perplessità la suscita.
Infatti, nell’ambito della dichiarazione I.v.a. si distingue una parte dichiarativa vera e propria e una meramente liquidativa.
Quella dichiarativa riguarda la determinazione dell’I.v.a. dovuta per il periodo d’imposta (rigo VL3), il cui calcolo è sintetizzato nella differenza tra i codici VL1 (I.v.a. a debito sulle operazioni attive per le quali il contribuente è debitore d’imposta) e VL2 (I.v.a. detraibile).
Da quel momento in poi, cioè una volta determinata l’I.v.a. dovuta (o a credito) del periodo, la dichiarazione ha una mera funzione liquidativa in cui vengono riportati elementi noti all’amministrazione finanziaria al fine di determinare il saldo da versare o da riportare a nuovo. Tant’è che la procedura di cui all’art. 54-bis D.P.R. n. 633/1972 consiste nella comparazione automatica tra quanto indicato nella dichiarazione proprio nella parte liquidativa rispetto ai dati e alle informazioni in possesso della stessa amministrazione. Così se i versamenti periodici non sono stati eseguiti, il contribuente può riportare ciò che vuole in dichiarazione, ma questa verrà automaticamente modificata e il quarto comma dell’art. 54-bis prevede espressamente che <<i dati contabili risultanti dalla liquidazione prevista dal presente articolo si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente>>.
E’ netta, quindi, la distinzione fra parte dichiarativa e liquidativa della dichiarazione I.v.a. e ciò è confermato dalla diversità di sistema sanzionatorio amministrativo: le sanzioni per la dichiarazioni infedele sono più gravi di quelle irrogate in forza delle correzioni di cui all’art. 54-bis D.P.R. n. 633/1972. Invece, la Suprema Corte le assimila ai fini penalistici per cui la parte liquidativa finisce per avere natura dichiarativa e, quindi, rilevante per l’illecito di questo genere e non per quello relativo al versamento.
Ma va fatta un’ulteriore considerazione. Qualora il falso nella dichiarazione attenga alla parte liquidativa, a parere della Suprema Corte potrà essere integrata una delle fattispecie di reato dichiarativo. Certo non l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 che riguarda esclusivamente la frode mediante l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, condotta che non sussiste nel caso di specie. In riferimento, poi, alle fattispecie di cui agli artt. 3 e 4 d.lgs. n. 74/2000 sembra alquanto impossibile che possa essere integrata la seconda delle soglie di punibilità, cioè la sottrazione all’imposizione di elementi attivi anche mediante l’indicazione indicazione di elementi passivi fittizi (art. 3) o inesistenti (art. 4), per il semplice motivo che siamo nella fase di liquidazione dell’imposta, cioè in quella successiva al rigo VL3, nella quale non rilevano affatto gli elementi attivi e/o passivi ma si tratta solo di determinare l’imposta da versare.
Stando così le cose, la verità è che l’illecito nella liquidazione non rileva, secondo l’orientamento giurisprudenziale in commento, nel reato di omesso versamento ma, nello stesso tempo, non è possibile ricondurlo nell’ambito dei reati dichiarativi, con la conseguenza che si viene a creare un’area di non punibilità certamente poco coerente con la logica e l’impostazione del d.lgs. n. 74/2000.
Francesco Ardito