ANCHE L’AMMINISTRATORE CESSATO DALLA CARICA SOCIETARIA PUO’ RISPONDERE A TITOLO DI CONCORSO NEL REATO EX ART 2 D.LGS. 10 N. 74 DEL 2000

Con la sentenza del 15 giugno 2021 n. 32237, la Sezione Terza della Suprema Corte di Cassazione, pronunciatasi su un caso di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture false, ha enunciato il seguente principio di diritto: “ il precedente rappresentante legale della società che ha contabilizzato false fatture può rispondere a titolo di concorso nel reato ex art 2 d.lgs. 10  del 2000 n. 74, anche se la dichiarazione è stata sottoscritta dal nuovo amministratore”.

In particolare, la vicenda in esame concerne la responsabilità penale di Caio condannato dalla Corte di appello di Milano, alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione, perché nella qualità di legale rappresentate della società, “al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nelle dichiarazioni dei redditi relative all’anno di imposta 2010 elementi passivi fittizi contabilizzando fatture per operazioni inesistenti emesse da due società diverse e in data 29.09.2011 quanto alla dichiarazione dell’iva e in data 27.03.2012 quanto alla dichiarazione Ires”.

Avverso tale sentenza, l’imputato ha presentato ricorso lamentando principalmente l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 e art 110 c.p., per la dichiarazione Ires presentata dal legale rappresentante in data 27.03.2012.

La doglianza difensiva, più nello specifico, si incentrava sulla seguente argomentazione:

il delitto di cui all’art. 2 cit. in quanto reato proprio sarebbe ascrivibile solo al legale rappresentante alla data di presentazione della dichiarazione a nulla rilevando che le false fatture contestate siano state contabilizzate in epoca precedente allorchè l’amministratore della società era soggetto diverso. Né potrebbe configurarsi il concorso dell’extraneus sulla base dell’erronea affermazione che l’imputato era stato amministratore negli anni precedenti alla cessazione della carica sociale (…), così come non sarebbe neppure punibile il fatto quale delitto tentato a mente dell’art. 6 del medesimo decreto”.

Ed infatti, in data 20 dicembre 2011, la società era stata posta in liquidazione e il ricorrente cessava la qualifica di amministratore, essendogli subentrato il figlio, nella veste di liquidatore.

In esito alla disamina di tali argomentazioni difensive, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto opportuno -sotto il profilo giuridico- richiamare le  coordinate ermeneutiche di seguito meglio indicate, al fine di evidenziare come “i comportamenti tenuti dal ricorrente, quando ancora egli era amministratore della società, ben possono essere valorizzati in termini di concorso con colui che, rivestendo successivamente la carica di amministratore della società ed indicando in dichiarazione la fattura in oggetto, ha perfezionato il reato”.

Invero, gli Ermellini hanno ricostruito il delitto ex art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000 quale reato omissivo proprio, richiamando sul punto il costante orientamento giurisprudenziale ( Cfr. Cass. Pen. Sez. III, del 29.10.2009, n. 9163, Lombardi; Cass. Pen. Sez. III, del 18.06.2015, n.37856 , Porzio), per il quale la responsabilità per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000 è attribuita all’amministratore, individuato secondo le norme civilistiche di cui agli artt. 2380 e ss., artt. 2455 e 2475 c.c., cioè a colui o coloro che rappresentano e gestiscono l’ente.

La Suprema Corte ha inoltre chiarito che:

  • I rappresentanti e i gestori dell’ente sono tenuti a presentare e sottoscrivere le dichiarazioni rilevanti per l’ordinamento tributario di cui al decreto in esame, adempiendo agli obblighi conseguenti;
  • l’obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi incombe direttamente sul contribuente e in caso di persone giuridiche, su chi ne abbia la legale rappresentanza;
  • il fatto che il contribuente possa avvalersi di persone incaricate della materiale predisposizione e trasmissione della dichiarazione non vale a trasferire su queste ultime l’obbligo dichiarativo;
  • i delitti di dichiarazione fraudolenta ex artt. 2 e 3 d.lgs. n. 74 del 2000, si consumano nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale, nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi; ed è in tale momento che deve essere individuato il soggetto autore del reato. Ne discende dunque, sotto il profilo penale, l’irrilevanza di tutti i comportamenti prodromici tenuti dall’agente.

Con riferimento a quest’ultimo punto, gli Ermellini hanno precisato, da un lato, che “non risponde a titolo di tentativo l’amministratore di una società il quale, dopo aver acquisito e registrato una fattura per operazioni inesistenti, sia cessato dalla carica prima della presentazione della dichiarazione fiscale per la cui redazione la medesima fattura venga poi utilizzata dal suo successore” (Sez.3 n. 23229 del 27/04/2012 P.M. in proc. Rigotti rv. 252999-01), dall’altro, che “l’irrilevanza sul piano penale delle condotte pregresse non esclude che possano di per sé stesse essere valorizzate quale elemento per configurare il concorso dell’estraneo nel reato proprio commesso da colui che rivestendo successivamente la carica di amministratore ha perfezionato il reato”.

Pertanto, secondo al Suprema Corte di legittimità, è configurabile il concorso nel reato di cui all’art 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 di colui che – pur essendo estraneo e non rivestendo cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta – abbia in qualsivoglia modo partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all’amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia.

Infine, la sentenza è apprezzabile nella misura in cui, muovendo da una corretta applicazione dei principi in materia di concorso di persone nel reato, ha ritenuto non censurabili le argomentazioni del Giudice Milanese che in punto di fatto aveva rilevato le seguenti circostanze: l’imputato aveva tenuto un comportamento consapevole, intenzionale e diretto a eludere l’obbligo tributario poiché lo stesso era stato amministratore ininterrottamente fino al 31.12.2011; aveva sottoscritto le dichiarazioni a fini IVA per l’anno 2011; aveva registrato nella contabilità le fatture per operazioni inesistenti di cui si era avvalso il figlio/liquidatore nella dichiarazione fiscale a fine Ires.

Avv. Marco Gabriele

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