IL REATO DI INDEBITA COMPENSAZIONE PREVALE (E NON CONCORRE) CON IL DELITTO DI CUI ALL’ART. 316 TER C.P.

Con la sentenza del 12 ottobre 2021 n. 37085, la sesta sezione della Cassazione si è occupata del rapporto tra il reato di Indebita compensazione previsto dall’art. 10 quater d.lgs. 74/2000, ed il delitto di Indebita percezione di erogazioni a danno dello stato, in forza del quale, salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640 bis c.p., è punito con la reclusione: “chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sè o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri“.

I dubbi in merito all’eventuale applicazione di tale fattispecie trovano ragion d’essere nell’interpretazione fornita dalla Cassazione del concetto di “erogazione”, che non richiederebbe necessariamente una “elargizione”. Secondo la Suprema Corte, ai fini della consumazione del reato è, infatti, sufficiente che sia stato conseguito un vantaggio economico, quale anche un risparmio di spesa, posto a carico della collettività (Cass., SS. UU., sent. del 16.12.2010 n. 7537),

Il caso oggetto della citata sentenza afferisce all’applicazione di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente dei beni nella disponibilità di un soggetto indagato del reato di cui all’art. 316 ter c.p., “per avere percepito dallo Stato erogazioni in termini di risparmio di spesa”, portando a conguaglio, negli anni 2013, 2014, 2015, “importi per assegni nucleo familiare, invero mai corrisposti ai dipendenti nè da questi richiesti“.

Avvero l’ordinanza reiettiva della richiesta di riesame emessa dal relativo Tribunale, l’indagato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l’erronea applicazione della legge penale, in quanto i fatti allo stesso ascritti avrebbero dovuto essere ricondotti alla fattispecie di cui all’art. 10 quater d.lgs. 74/2000, con la conseguenza della loro irrilevanza penale per il mancato superamento delle soglie di punibilità.

Il Collegio ha ritenuto fondato il ricorso ed annullato l’impugnata ordinanza.

In sentenza la Corte premette di aderire al maggioritario orientamento interpretativo secondo il quale l’art. 10 quater trova applicazione anche nelle ipotesi di compensazione cd. “orizzontale”, ovvero, nei casi in cui il contribuente porti in compensazione crediti di natura diversa dai debiti, anche se non afferenti l’avvenuto pagamento di imposte bensì il pagamento di “contributi previdenziali e assistenziali dovuti dai titolari di posizione assicurativa, dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa, oltre a taluni specifici premi assicurativi, imposte tasse e addizionali previsti da leggi speciali“.

Alla luce di tale premessa la Corte ha correttamente concluso nel senso che non può esservi alcun dubbio sul fatto che l’art. 10 quater d.lgs. 74/2000, si configuri come norma speciale, e come tale prevalente, rispetto all’art. 316 ter c.p.. Con la conseguenza, che, nel caso giunto alla sua attenzione, risulta essere assente il fumus commissi delicti, attesa l’irrilevanza penale della condotta ascritta al ricorrente in ragione del mancato superamento delle soglie di punibilità previste dal delitto di indebita compensazione.

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