LIMITI AL PIGNORAMENTO E CONFISCA PER EQUIVALENTE. QUESTIONE RIMESSA ALLE S.U.

Con l’ordinanza del 22 ottobre 2021 n. 38068 la terza sezione penale della Cassazione ha rimesso alle S.U. il seguente quesito di diritto: “se i limiti di pignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a titolo di licenziamento, nonchè quelle dovute a titolo di pensione, di indennità che tengano luogo di pensione, o di assegno di quiescenza, previsti dall’art. 545 cod. proc. civ., si applicano alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato“.

La vicenda che ha indotto la Corte a chiedere l’intervento chiarificatore delle S.U.  sorge in seguito ad un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaro per un ammontare fino ad oltre 20 milioni di euro, corrispondente al profitto del reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000; ovvero di somme di denaro, beni mobili e immobili nella disponibilità dei ricorrenti per un valore equivalente al citato profitto.

I destinatati del provvedimento ablativo chiedevano, infatti, al GIP la restituzione di un importo di circa 35.000,00 euro, “pari al triplo della pensione sociale“, rilevando che le somme depositate sui conti correnti in sequestro corrispondevano agli stipendi ed agli utili erogati ai ricorrenti da due società di capitali.

A sostegno della loro richiesta, gli istanti richiamavano quanto disposto dall’art. 545 c.p.c., rubricato “Crediti impignorabili“, il quale al comma 8 stabilisce che: “Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento (…)”.

La richiesta veniva tuttavia rigettata dal GIP secondo il quale gli emolumenti erogati da una delle due società erano “integralmente generati dall’azione delittuosa contestata“; mentre quelli corrisposti dall’altro ente dovevano ritenersi non soggetti ad alcun limite di pignorabilità in quanto costituenti il compenso per l’attività di amministratore della società, come tale non suscettibile di essere ricompreso tra i crediti non pignorabili individuati dal citato art. 545.

Avverso l’ordinanza reiettiva del GIP i ricorrenti proponevano appello, lamentando in particolare la violazione degli artt. 2 e 3 della costituzione, atteso che il provvedimento ablativo li avrebbe privati del sostentamento necessario alla loro sopravvivenza, con ciò esponendoli “ad un trattamento discriminatorio” rispetto ai lavoratori subordinati.

Il gravame veniva tuttavia rigettato dal Tribunale, il quale  osservava che i limiti di pignorabilità previsti dagli artt. 545 e 546 c.p.c. sarebbero inapplicabili al sequestro preventivo funzionale alla confisca, trattandosi di disposizioni che regolamentano esclusivamente rapporti tra privati, nella misura in cui costituiscono eccezioni al principio della responsabilità patrimoniale in ragione del contemperamento tra l’interesse del creditore e quello del debitore. Diversamente  i provvedimenti di sequestro/confisca perseguono interessi pubblicistici. Aggiungeva, inoltre, il Tribunale che il limite alla pignorabilità non opera quando le somme siano già stata corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare; e che compete al Giudice la valutazione in merito ad una eventuale eccessiva afflittività della misura qualora sia tale da non garantire all’interessato il sostegno minimo vitale.

Avverso la decisione del Tribunale i ricorrenti hanno proposto ricorso, deciso con l’ordinanza di rimessione alle S.U..

Nella parte motiva dell’ordinanza, la terza sezione, premessa l’inapplicabilità dell’art. 545 c.p.c. alla confisca del profitto del reato, ha preso atto dell’esistenza di due antitetici orientamenti interpretativi in merito al rapporto tra l’art. 545 c.p.c. e l’istituto della confisca.

Secondo l’indirizzo fatto proprio dal Tribunale, l’art. 545 c.p.c. è sempre inapplicabile alle ipotesi di confisca, limitandosi la citata disposizione a regolare rapporti tra privati e non potendosi assimilare la posizione dello Stato a quella di un qualsiasi creditore (Cass., sez. II, sent. del 2 ottobre 2019 n. 16055; Cass., sez. IV, sent. del 21 gennaio 2021 n. 3981).

A tale indirizzo, si contrappone tuttavia un diverso orientamento ermeneutico secondo il quale, “il limite alla pignorabilità del crediti (è) espressione di principi di rango costituzionale (art. 2 cost.), che”, in quanto coinvolgono l’inviolabilità della  persona, “non sono confinabili alla sola sede civilistica” (in questo senso Cass., sez. VI, sent. del 8 gennaio 2020 n. 8822; Cass. sez. II, sent. del 10 febbraio 2015 n. 15795). Sempre secondo tale indirizzo, nemmeno la confusione delle somme impignorabili con il restante patrimonio mobiliare del debitore può impedire l’applicazione di tali principi, qualora sia certa la causale dei relativi versamenti (Cass., sez. III, sent. del 14 marzo 2019, n. 14606 e Cass., sez. III, sent. 11 febbraio 2021 n. 10772).

La Corte ha dunque preso atto dell’esistenza di un contrasto “che affonda le radici in una precisa opzione interpretativa che prescinde dal singolo caso”.

Peraltro, l’ordinanza rileva la necessità di un intervento risolutivo delle SS. UU.  anche in ordine all’ulteriore questione afferente la natura giuridica degli emolumenti corrisposti all’amministratore di società.

La suindicata decisione appare quanto mai opportuna e consente di confidare in una soluzione costituzionalmente orientata della questione, ritenendosi che la ratio dei limiti al principio della responsabilità patrimoniale non possa che essere individuata nella tutela della dignità ed inviolabilità della persona.

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