Dichiarazione infedele: ai fini della valutazione sul superamento delle soglie di punibilità rilevano anche i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti

Con la sentenza del 13 gennaio 2021 la sez. 4 della Corte di Cassazione interviene con una interessante pronuncia sul tema della rilevanza penale dell’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

Il fatto sottoposto all’attenzione della Corte non è di facile intellegibilità. Dalla sentenza risulta che l’imputato era stato tratto a giudizio e condannato in primo grado per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, avendo indicato nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto elementi passivi fittizi con conseguente evasione delle relative imposte. La Corte di Appello aveva tuttavia riformato la sentenza di condanna, ritenendo integrato il diverso reato di cui all’art. 3 d.lgs. 74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).

La sentenza della Corte di Appello, veniva successivamente annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione, secondo la quale i fatti  ascritti all’imputato non potessero essere ricondotti al delitto di cui all’art. 3 d.lgs. 74/2000, potendosi tuttavia configurare il reato di dichiarazione infedele previsto dall’art. 4 del medesimo decreto. Rinviava pertanto gli atti alla Corte di Appello ai fini della verifica circa il superamento delle soglie di punibilità contemplate dalla citata disposizione.

In sede di rinvio la Corte di Appello condannava l’imputato per il reato di dichiarazione infedele, avendo accertato l’avvenuto superamento delle relative soglie di punibilità.

Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto nuovamente ricorso in cassazione, con il quale ha censurato  la decisione della Corte di Appello, che aveva ritenuto superate le soglie di punibilità non tenendo dei costi sostenuti dalla società che, seppur relativi ad  operazioni soggettivamente inesistenti, erano stati realmente sostenuti.

Con la sentenza in commento la Corte ha ritenuto non infondato il ricorso.

Nella parte motiva del provvedimento, la Corte ha evidenziato che, diversamente da ciò che avviene per l’IVA, ai fini delle imposte sui redditi rileva solo “l’inesistenza soggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture” utilizzate dal contribuente; “tanto implica che i costi realmente sostenuti devono essere considerati ai fini dell’accertamento del reato di cui alla lettera b) dell’art. 4 d.lgs. 74/2000“. La Corte di Appello sarebbe dunque incorsa in errore nella valutazione avente ad oggetto l’avvenuto superamento delle soglie di punibilità previste dalla fattispecie, in quanto aveva considerato come fittizio l’intero ammontare dei costi indicati nella dichiarazione fiscale del contribuente.

In sintesi, la Corte ha ritenuto che, relativamente all’evasione delle imposte sui redditi, ai fini della valutazione in ordine al superamento delle soglie di punibilità previste dall’art. 4 d.lgs. 74/2000,  si deve tener conto anche dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, i quali, evidentemente, non possono considerarsi quali “elementi passivi inesistenti“.

Il collegio sembra dunque aver aderito al condivisibile indirizzo giurisprudenziale, adottato anche in sede tributaria, per il quale l’utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti rileva solo ai fini dell’evasione dell’IVA e non anche ai fini dell’evasione delle imposte sui redditi, attesa l’effettività del costo sostenuto dal contribuente (nello stesso senso Cass. sez. 3, 23 novembre 2017 n. 6935; Cass. sez. 3, 26 giugno 2020 n. 20901).

Va, tuttavia, ricordato che l’indirizzo prevalente della Cassazione ritiene viceversa che qualsiasi costo riconducibile a condotte criminose sia sempre in ogni caso indeducibile, in quanto in contrasto con i principi di inerenza, competenza, certezza e determinatezza che caratterizzano la normativa tributaria (più di recente Cass. sez. 3, 1 aprile 2020 n. 10916).

 

Leave a Reply