La Cassazione detta le linee guida per garantire il rispetto del ne bis in idem convenzionale e la proporzionalità della complessiva risposta sanzionatoria ai reati tributari

Pubblichiamo la sentenza depositata dalla sez. 3 della Cassazione il 20 gennaio 2022 n. 2245, nell’ambito della quale il Collegio affronta il complesso tema del rispetto del principio del ne bis in idem statuito dall’art. 4 protocollo 7 CEDU, con riferimento al rapporto tra il reato di dichiarazione infedele e relativa sanzione, con l’illecito amministrativo previsto e punito dall’art. 1 co. 2 (per le imposte sui redditi) e 5 co. 4 (in tema di IVA) del d.lgs. n. 471/97.

La pronuncia, nell’affermare alcuni principi di diritto anche dal carattere innovativo e creativo,  fornisce  linee guida volte a scongiurare sia violazioni del divieto di bis in idem di matrice convenzionale, sia conseguenze sanzionatorie non proporzionate all’illecito tributario commesso.

L’intervento della Cassazione è scaturito dal caso di un imputato che, in relazione agli stessi fatti per i quali veniva processato in sede penale per il reato di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000, nelle more del processo vedeva definitivamente confermato dalla CTR l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva applicato allo stesso sanzioni per € 654.126,00, oltre ad € 110.561,97 di aggio dovuto all’agente della riscossione.

Ad avviso del ricorrente, il duplice processo e la doppia sanzione, ovvero quella penale/detentiva di anni 1 e mesi 4 di reclusione applicata all’esito dei precedenti gradi di giudizio, e quella amministrativo/pecuniaria conseguente alla pronuncia della CTR, costituivano una palese violazione dell’art. 4 protocollo 7 CEDU, secondo il quale “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”; nonchè dell’art. 50 CFDUE ( “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”).

All’esito di una articolata analisi della vicenda posta alla Sua attenzione, la Cassazione ha affermato che:

  1. tra il reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, e gli illeciti amministrativi di cui agli artt. 1, comma 2, e 5, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997, non sussiste il rapporto di specialità” (previsto dall’art. 19 d.lgs. 74/2000). La Corte rileva che per integrare l’illecito amministrativo non è richiesto il dolo specifico di evasione, nè l’indicazione in dichiarazione di “elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti“, nè il superamento delle soglie di punibilità ; essendo viceversa sufficiente che, “anche solo per colpa, dichiari un reddito o un’imposta inferiore al dovuto“. Tuttavia , aggiunge la Corte, tali elementi differenziali non escludono che il fatto storico naturalistico fonte della diversa tipologia di procedimenti e di sanzioni possa essere lo stesso. In sintesi la dichiarazione infedele “costituisce un unico fatto materiale che viola due disposizioni diversamente sanzionate“, così come una condotta può integrare due fattispecie in concorso formale tra loro;
  2. ai fini del divieto di ‘bis in idem’ di cui all’art. 4, § 1, Protocollo n. 7 alla Convenzione EDU, la natura (sostanzialmente) penale della sanzione qualificata come amministrativa dall’ordinamento interno deve essere valutata applicando i cd. “Engel criteria” (qualificazione dell’illecito secondo l’ordinamento interno; natura dell’illecito e sua funzione; gravità della sanzione, che può anche non essere privativa della libertà personale).
  3. la sanzione prevista dagli artt. 1, comma 2, e 5, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997, alla luce dei criteri indicati dalla Corte EDU, può assumere natura sostanzialmente penale. Ciò  in ragione  della sanzione minacciata e della sua evidente funzione dissuasiva (già in sede di previsione astratta), non essendo finalizzata al mero risarcimento/indennizzo del danno cagionato dal contribuente, quanto all’applicazione di una sanzione che va dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta. Tale natura va in ogni caso verificata anche alla luce della sanzione concretamente applicata al contribuente (nel caso esaminato dalla Corte pari ad euro 654.126,00, di gran lunga superiore al 30% dell’imposta evasa).
  4. non sussiste violazione del divieto di ‘bis in idem’ di cui all’art. 4, § 1, Protocollo n. 7 alla Convenzione EDU, nei casi di litispendenza, quando cioè una medesima persona sia perseguita o sottoposta contemporaneamente a più procedimenti per il medesimo fatto storico e per l’applicazione di sanzioni formalmente o sostanzialmente penali, oppure quando tra i procedimenti vi sia una stretta connessione sostanziale e procedurale“. Il diritto a non essere punito due volte, comporta evidentemente anche quello di non essere processato due volte. Tale divieto presuppone una sentenza definitiva e non viene in rilievo nei casi di litispendenza, cioè quando una persona viene sottoposta contemporaneamente a più procedimenti formalmente  o sostanzialmente penali, salvo che tra i due procedimenti via sia discontinuità. Tale discontinuità, secondo la Corte, deve ritenersi  insussistente quando tra i due procedimenti vi è una connessione di carattere sostanziale e temporale. La connessione sostanziale sussiste ogni qual volta  il provvedimento amministrativo viene applicato “ex lege” in conseguenza della condanna penale o quando la pluralità di procedimenti sia funzionale ad applicare sanzioni complementari per lo stesso fatto, funzionali a costituire la risposta integrata dell’ordinamento all’illecito commesso. La connessione temporale sussiste sia nei casi di  celebrazione simultanea dei procedimenti, sia quando il secondo procedimento si celebri e si concluda entro un tempo non eccessivamente lontano dalla conclusione del primo procedimento, essendo necessario scongiurare che il procedimento “integrato” si protragga eccessivamente  nel tempo.  Tale connessione temporale deve ritenersi soddisfatta nel caso, come quello giunto all’attenzione della Corte, nel quale la durata del procedimento penale si è prolungata per ulteriori due anni dalla conclusione del procedimento tributario, per una durata complessiva dei due procedimenti pari ad anni 6;
  5. in quei casi nei quali la sanzione amministrativa prevista ed applicata per il reato commesso abbia  natura sostanzialmente penale, “deve essere garantito un meccanismo di compensazione che consenta di tener conto, in sede di irrogazione della seconda sanzione, degli effetti della prima così da evitare che la sanzione complessivamente irrogata sia sproporzionata“. Ai fini del giudizio in merito alla proporzionalità della risposta sanzionatoria “integrata” è possibile far riferimento all’art. 135 c.p.  che fornisce l’unità di misura (“€ 250,00 per ogni giorno di detenzione”) della sanzione applicabile in sede penale. In altri termini il giudice penale è chiamato ad utilizzare il criterio previsto dall’art. 135 c.p. per convertire in giorni di detenzione l’ammontare della sanzione pecuniaria applicata in sede amministrativa. Nel caso posto all’attenzione della Corte la sanzione pecuniaria applicata in sede amministrativa equivaleva ad anni 7 di reclusione con una risposta sanzionatoria integrata che giungeva ad applicare all’imputato una pena complessiva  superiore ad anni 8 di reclusione;
  6. pertanto: “in caso di sanzione formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione EDU, irrevocabilmente applicata all’imputato successivamente condannato in sede penale per il medesimo fatto storico, il giudice deve commisurare la pena tenendo conto di quella già irrogata, utilizzando, a tal fine, il criterio di ragguaglio previsto dall’art. 135 cod. pen., applicando, se del caso, le circostanze attenuanti generiche e valutando le condizioni economiche del reo”;
  7. tale “meccanismo di compensazione non si applica se la sanzione amministrativa è stata precedentemente pagata da persona diversa dal reo“. Dunque il Giudice penale non dovrà operare alcuna compensazione in tutte quelle ipotesi nelle quali non si via coincidenza soggettiva tra l’imputato ed il soggetto giuridico che paga la sanzione amministrativa. Circostanza che si verifica in tutte quelle ipotesi nelle quali il reato tributario è stato commesso nella qualità di legale rappresentante di un soggetto dotato di autonoma personalità giuridica, e che, di norma, procederà al pagamento della sanzione applicata in sede amministrativa. Si tratta evidentemente di una indicazione che riduce sensibilmente il concreto ambito di applicazione del meccanismo di compensazione.

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