Il 16 aprile 2021 è stato presentata un’interessante proposta di legge di modifica degli artt.10-bis e 10-ter del d.lgs. n.74/2000, cioè dei reati di omesso versamento delle ritenute e dell’I.v.a., introdotti nel 2005 e nel 2006.
La Riforma del 2000 ha segnato un momento di discontinuità profonda con il passato: da un diritto penale pervasivo che sanzionava non l’evasione fiscale ma condotte formali e propedeutiche rispetto alla effettiva evasione, si è passati al diritto penale dell’extrema ratio, articolato su un ristretto numero di fattispecie, di natura esclusivamente delittuosa, caratterizzate da rilevante offensività per gli interessi dell’Erario e dal fine di evasione o di conseguimento di indebiti rimborsi d’imposta. Un’inversione di tendenza, salutata con favore dalla dottrina, che riportava la sanzione penale alla sua funzione: la tutela di beni giuridici rilevanti, nel caso di specie l’interesse alla riscossione delle imposte anzichè interessi diversi, di natura procedimentale.
In realtà, si è trattato di un’impostazione che non ha avuto vita lunga perché il legislatore è subito intervenuto a rimaneggiare e integrare l’originario impianto con innesti normativi svincolati dalla originaria legge delega e forgiati su una tecnica di normazione di tipo casistico che contraddice l’originaria scelta della Riforma del 2000 di procedere per fattispecie astratte e generali.
In particolare, con la legge Finanziaria per il 2005 (art.1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004 n.311) è stato introdotto l’art.10-bis al d.lgs. n.74/2000 che sanziona l’omesso versamento delle ritenute e con il cosiddetto decreto Visco-Bersani del 2006 (art.35, comma 7, del d.l. 4 luglio 2006, n.223) sono stati introdotti gli artt.10-ter e 10-quater che sanzionano l’omesso versamento e l’indebita compensazione dell’I.v.a. In questo modo il legislatore ha punito tre fattispecie specifiche che rientrano tutte nella condotta di omesso versamento differenziando l’omesso versamento delle ritenute, dall’omesso versamento dell’I.v.a., dall’omesso versamento attuato mediante l’indebita compensazione. Inoltre, a differenza di quanto avvenuto per tutte le altre condotte in origine sanzionate penalmente dal d.lgs. n.74/2000, il legislatore per le citate fattispecie non ha previsto il dolo specifico.
E’ evidente la deviazione dai principi di fondo che hanno caratterizzato la Riforma del 2000: con gli art. 10-bis e 10-ter sono stati criminalizzati comportamenti non meritevoli né bisognosi di tutela penale consistenti in meri inadempimenti di obbligazione non accompagnati da comportamenti fraudolenti e, cioè, da significativi disvalori di azione.
La verità è che con gli interventi del 2005 e del 2006 è riemerso l’antico vizio del legislatore, evidentemente mai abbandonato, di tentare di ovviare ai profili di cattivo e/o insufficiente funzionamento dell’amministrazione finanziaria con un antidoto a basso costo: il ricorso alla sanzione penale, attribuendole così una funzione palingenetica della società che, però, non le è ontologicamente propria.
Ciò che è successo è noto a tutti. Al di là di alcune timide apertura della giurisprudenza di merito, la Suprema Corte, facendo leva sul dolo generico, per cui il profilo soggettivo del reato è integrato dalla sola consapevolezza del soggetto agente di omettere il pagamento del dovuto entro il termine prescritto, si è posta su posizioni estremamente rigide di assoluta irrilevanza della crisi di liquidità, sino ad arrivare ad affermare che il rimprovero che viene mosso al contribuente è quello di non aver accantonato le somme destinate al pagamento delle imposte. E anche le timide aperture che ci sono state in punto di diritto, comunque in punto di fatto hanno finito per riportare la situazione al punto di partenza richiedendosi al contribuente una prova diabolica: aver fatto tutto il possibile per versare le imposte.
Le problematiche evidenziate, che certo non possono essere superate con un mero intervento di ortopedia interpretativa, richiedono invece una modifica legislativa. In tal senso la proposta di legge n.3024 presentata il 16 aprile 2021 alla Camera dei deputati prevede due importanti modifiche.
La prima è l’introduzione di una clausola di esclusione della punibilità allorché l’omesso versamento è conseguente alla “impossibilità sopravvenuta della prestazione” non imputabile al contribuente.
In realtà, non è chiaro se ci troviamo dinanzi ad una vera e propria causa di esclusione della punibilità, nel senso che il reato è compiuto in tutti i suoi elementi ma il legislatore ne esclude comunque la punibilità; oppure se la causa operi sul piano dell’esclusione della colpevolezza, cioè dell’elemento soggettivo del reato e, quindi, della tipicità, nel senso che si tratterebbe di un’ipotesi speciale riconducibile al genus della forza maggiore.
Questa prima modifica appare alquanto contraddittoria rispetto all’obiettivo perseguito dalla norma che – è ben chiaro nella Relazione – è quello di escludere la punibilità nell’ipotesi di crisi di liquidità. Ma, se così è, allora la scelta, ad esempio, di anteporre il pagamento dei dipendenti e/o dei fornitori al versamento delle imposte, garantendo così la continuità dell’attività d’impresa, non è una scelta non imputabile all’imprenditore trattandosi di una precisa volontà. Una contraddizione fra il contenuto della modifica e la finalità perseguita.
La seconda modifica proposta attiene al profilo soggettivo dei due reati, nel senso che per la sussistenza dei reati di omesso versamento delle ritenute e dell’I.v.a. di cui agli artt.10-bis e 10-ter del d.lgs. n.74/2000, è richiesto non più il dolo generico bensì il dolo specifico, cioè “il fine di evadere l’obbligazione tributaria”.
Il vero punto di svolta è proprio l’introduzione del dolo specifico in quanto il dolo specifico ha una funzione propriamente selettiva, cioè di restringere l’ambito della punibilità perché questa senza il perseguimento della particolare finalità indicata dalla legge viene meno. Pertanto, non tutte le ipotesi di omesso versamento integrano la fattispecie delittuosa di cui agli artt. 10-bis o 10-ter, ma solo quelle caratterizzate dalla coscienza e volontà di voler evadere le imposte attraverso l’omesso versamento delle stesse.
In questo contesto appare del tutto pleonastica l’introduzione della causa di punibilità della “impossibilità sopravvenuta della prestazione”, come sarebbe del tutto errato spostare le modifiche sul piano casistico. Infatti, è il dolo specifico l’elemento di selezione che deve essere ricercato in ogni singola fattispecie, fermo restando che l’auspicio è quello di una depenalizzazione delle due fattispecie poiché non caratterizzate da alcun profilo di frode.
D’altra parte va fatta un’ulteriore considerazione. La crisi di liquidità non può assumere di per sé rilevanza al fine di escludere la sussistenza del reato ma ciò che rilevano sono i motivi che hanno determinato la crisi di liquidità. In sostanza, non si possono porre sullo stesso piano situazioni differenti, quali la crisi di liquidità dovuta a errate scelte gestionali o a indebite appropriazioni rispetto alla crisi di liquidità dovuta al mancato o ritardato pagamento di rilevanti cessioni o prestazioni da parte del cliente o all’ingresso in procedure concorsuali di un importante cliente.
La molteplicità delle situazioni che possono portare alla crisi di liquidità non possono che trovare soluzione, ai fini dell’integrazione dei reati di omesso versamento, che nel dolo specifico, cioè nella volontà di evadere le imposte, quale finalità particolare che l’agente deve prendere di mira. In questo modo il dolo specifico diventa l’elemento caratterizzante del fatto ai fini della sua sussumibilità nel reato di omesso versamento delle ritenuto o dell’I.v.a..
Francesco Ardito
ALCUNE PRELIMINARI CONSIDERAZIONI SULLA PROPOSTA DI LEGGE PER CODIFICARE LA CRISI DI LIQUIDITA QUALE CAUSA DI ESCLUSIONE DEI REATI DI OMESSO VERSAMENTO.
Il 16 aprile 2021 è stato presentata un’interessante proposta di legge di modifica degli artt.10-bis e 10-ter del d.lgs. n.74/2000, cioè dei reati di omesso versamento delle ritenute e dell’I.v.a., introdotti nel 2005 e nel 2006.
La Riforma del 2000 ha segnato un momento di discontinuità profonda con il passato: da un diritto penale pervasivo che sanzionava non l’evasione fiscale ma condotte formali e propedeutiche rispetto alla effettiva evasione, si è passati al diritto penale dell’extrema ratio, articolato su un ristretto numero di fattispecie, di natura esclusivamente delittuosa, caratterizzate da rilevante offensività per gli interessi dell’Erario e dal fine di evasione o di conseguimento di indebiti rimborsi d’imposta. Un’inversione di tendenza, salutata con favore dalla dottrina, che riportava la sanzione penale alla sua funzione: la tutela di beni giuridici rilevanti, nel caso di specie l’interesse alla riscossione delle imposte anzichè interessi diversi, di natura procedimentale.
In realtà, si è trattato di un’impostazione che non ha avuto vita lunga perché il legislatore è subito intervenuto a rimaneggiare e integrare l’originario impianto con innesti normativi svincolati dalla originaria legge delega e forgiati su una tecnica di normazione di tipo casistico che contraddice l’originaria scelta della Riforma del 2000 di procedere per fattispecie astratte e generali.
In particolare, con la legge Finanziaria per il 2005 (art.1, comma 414, della legge 30 dicembre 2004 n.311) è stato introdotto l’art.10-bis al d.lgs. n.74/2000 che sanziona l’omesso versamento delle ritenute e con il cosiddetto decreto Visco-Bersani del 2006 (art.35, comma 7, del d.l. 4 luglio 2006, n.223) sono stati introdotti gli artt.10-ter e 10-quater che sanzionano l’omesso versamento e l’indebita compensazione dell’I.v.a. In questo modo il legislatore ha punito tre fattispecie specifiche che rientrano tutte nella condotta di omesso versamento differenziando l’omesso versamento delle ritenute, dall’omesso versamento dell’I.v.a., dall’omesso versamento attuato mediante l’indebita compensazione. Inoltre, a differenza di quanto avvenuto per tutte le altre condotte in origine sanzionate penalmente dal d.lgs. n.74/2000, il legislatore per le citate fattispecie non ha previsto il dolo specifico.
E’ evidente la deviazione dai principi di fondo che hanno caratterizzato la Riforma del 2000: con gli art. 10-bis e 10-ter sono stati criminalizzati comportamenti non meritevoli né bisognosi di tutela penale consistenti in meri inadempimenti di obbligazione non accompagnati da comportamenti fraudolenti e, cioè, da significativi disvalori di azione.
La verità è che con gli interventi del 2005 e del 2006 è riemerso l’antico vizio del legislatore, evidentemente mai abbandonato, di tentare di ovviare ai profili di cattivo e/o insufficiente funzionamento dell’amministrazione finanziaria con un antidoto a basso costo: il ricorso alla sanzione penale, attribuendole così una funzione palingenetica della società che, però, non le è ontologicamente propria.
Ciò che è successo è noto a tutti. Al di là di alcune timide apertura della giurisprudenza di merito, la Suprema Corte, facendo leva sul dolo generico, per cui il profilo soggettivo del reato è integrato dalla sola consapevolezza del soggetto agente di omettere il pagamento del dovuto entro il termine prescritto, si è posta su posizioni estremamente rigide di assoluta irrilevanza della crisi di liquidità, sino ad arrivare ad affermare che il rimprovero che viene mosso al contribuente è quello di non aver accantonato le somme destinate al pagamento delle imposte. E anche le timide aperture che ci sono state in punto di diritto, comunque in punto di fatto hanno finito per riportare la situazione al punto di partenza richiedendosi al contribuente una prova diabolica: aver fatto tutto il possibile per versare le imposte.
Le problematiche evidenziate, che certo non possono essere superate con un mero intervento di ortopedia interpretativa, richiedono invece una modifica legislativa. In tal senso la proposta di legge n.3024 presentata il 16 aprile 2021 alla Camera dei deputati prevede due importanti modifiche.
La prima è l’introduzione di una clausola di esclusione della punibilità allorché l’omesso versamento è conseguente alla “impossibilità sopravvenuta della prestazione” non imputabile al contribuente.
In realtà, non è chiaro se ci troviamo dinanzi ad una vera e propria causa di esclusione della punibilità, nel senso che il reato è compiuto in tutti i suoi elementi ma il legislatore ne esclude comunque la punibilità; oppure se la causa operi sul piano dell’esclusione della colpevolezza, cioè dell’elemento soggettivo del reato e, quindi, della tipicità, nel senso che si tratterebbe di un’ipotesi speciale riconducibile al genus della forza maggiore.
Questa prima modifica appare alquanto contraddittoria rispetto all’obiettivo perseguito dalla norma che – è ben chiaro nella Relazione – è quello di escludere la punibilità nell’ipotesi di crisi di liquidità. Ma, se così è, allora la scelta, ad esempio, di anteporre il pagamento dei dipendenti e/o dei fornitori al versamento delle imposte, garantendo così la continuità dell’attività d’impresa, non è una scelta non imputabile all’imprenditore trattandosi di una precisa volontà. Una contraddizione fra il contenuto della modifica e la finalità perseguita.
La seconda modifica proposta attiene al profilo soggettivo dei due reati, nel senso che per la sussistenza dei reati di omesso versamento delle ritenute e dell’I.v.a. di cui agli artt.10-bis e 10-ter del d.lgs. n.74/2000, è richiesto non più il dolo generico bensì il dolo specifico, cioè “il fine di evadere l’obbligazione tributaria”.
Il vero punto di svolta è proprio l’introduzione del dolo specifico in quanto il dolo specifico ha una funzione propriamente selettiva, cioè di restringere l’ambito della punibilità perché questa senza il perseguimento della particolare finalità indicata dalla legge viene meno. Pertanto, non tutte le ipotesi di omesso versamento integrano la fattispecie delittuosa di cui agli artt. 10-bis o 10-ter, ma solo quelle caratterizzate dalla coscienza e volontà di voler evadere le imposte attraverso l’omesso versamento delle stesse.
In questo contesto appare del tutto pleonastica l’introduzione della causa di punibilità della “impossibilità sopravvenuta della prestazione”, come sarebbe del tutto errato spostare le modifiche sul piano casistico. Infatti, è il dolo specifico l’elemento di selezione che deve essere ricercato in ogni singola fattispecie, fermo restando che l’auspicio è quello di una depenalizzazione delle due fattispecie poiché non caratterizzate da alcun profilo di frode.
D’altra parte va fatta un’ulteriore considerazione. La crisi di liquidità non può assumere di per sé rilevanza al fine di escludere la sussistenza del reato ma ciò che rilevano sono i motivi che hanno determinato la crisi di liquidità. In sostanza, non si possono porre sullo stesso piano situazioni differenti, quali la crisi di liquidità dovuta a errate scelte gestionali o a indebite appropriazioni rispetto alla crisi di liquidità dovuta al mancato o ritardato pagamento di rilevanti cessioni o prestazioni da parte del cliente o all’ingresso in procedure concorsuali di un importante cliente.
La molteplicità delle situazioni che possono portare alla crisi di liquidità non possono che trovare soluzione, ai fini dell’integrazione dei reati di omesso versamento, che nel dolo specifico, cioè nella volontà di evadere le imposte, quale finalità particolare che l’agente deve prendere di mira. In questo modo il dolo specifico diventa l’elemento caratterizzante del fatto ai fini della sua sussumibilità nel reato di omesso versamento delle ritenuto o dell’I.v.a..
Francesco Ardito