INDEBITA COMPENSAZIONE: LA CASSAZIONE INDIVIDUA ELEMENTI UTILI A DISTINGUERE I CREDITI INESISTENTI DA QUELLI NON SPETTANTI

Alleghiamo la sentenza del 3 marzo 2022 n. 7615, con la quale la terza sezione della Cassazione fornisce indicazioni utili all’individuazione del discrimine tra la condotta di indebita compensazione di crediti inesistenti (art. 10 ter co. 2 d.lgs. 74/2000), e quella di indebita compensazione di crediti non spettanti (art. 10 ter co. 1 d.lgs. 74/2000).

Indagato per il reato di indebita compensazione ex art. 10 quater co. 2 d. lgs. 74/2000, l’amministratore di una società proponeva richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo disposto su beni di sua proprietà.

L’impugnazione veniva accolta dal Tribunale del riesame il quale rilevava che effettivamente il provvedimento ablativo doveva ritenersi la duplicazione di altro decreto di sequestro disposto da altra autorità giudiziaria in relazione alla medesima vicenda illecita, con conseguente violazione del divieto di bis in idem, operante anche in sede cautelare.

Avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame veniva proposto ricorso per Cassazione dalla Procura della Repubblica, la quale contestava l’affermazione in ordine alla identità dei fatti oggetto dei procedimenti pendenti dinanzi alle distinte autorità giudiziarie, rilevando in particolare che il procedimento per il quale si procedeva aveva ad oggetto il reato di cui 10 quater co. 2 d.lgs. 74/2000, diversamente dal procedimento pendente dinanzi altra autorità giudiziaria che aveva ad oggetto il reato di cui al co. 1 della medesima disposizione.

Il collegio ha ritenuto fondato il ricorso, sulla scorta di una articolata analisi del concetto di crediti inesistenti e di crediti non spettanti.

Il punto di partenza è costituito dalla sussistenza nel nostro ordinamento di una dicotomia tra il credito inesistente ed il credito non spettante, che viene desunta dalla definizione di credito inesistente fornita dall’art. 13 co. 5 d.lgs. 471/1997, secondo cui: “Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633“.

In forza del disposto dell’art. 13 co. 5, la Corte afferma che per ritenere inesistente un credito: a) deve mancare il presupposto costitutivo del credito; b) l’inesistenza non deve emergere dagli stessi controlli disposti dall’Amministrazione Finanziaria ed in forza dei quali quest’ultima procede a ridurre il credito di imposta in base a quanto previsto dalla legge, o dichiarato dal contribuente, o risultante dai documenti allo stesso richiesti.

In sintesi, l’inesistenza sarebbe legata ad una situazione creditoria non vera per la mancanza oggettiva o soggettiva del credito, non emergente dagli ordinari controlli dell’amministrazione finanziaria.

In mancanza di una di tali condizioni il credito deve, viceversa, essere qualificato come non spettante. Del resto lo stesso art. 13 co. 4 d.lgs. 471/1997 prevede che: “Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato”. In sintesi il credito non spettante afferirebbe all’erroneo utilizzo della procedura di compensazione.

Proprio la non sovrapponibilità tra le situazioni giuridiche prese in considerazione dai due commi dell’art. 10 quater d.lgs. 74/2000, giustifica, secondo la Corte, anche la diversità delle condotte sul versante del profilo soggettivo del reato, in quanto solo l’utilizzo in compensazione di un credito inesistente “costituisce di per sè, salvo prova contraria, un indice rivelatore della volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’erario con una posta creditoria artificiosamente creata; mentre nel caso di crediti non spettanti occorre provare la consapevolezza in capo al contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa“.

In effetti le conclusioni alle quali perviene la Corte sembrano trovare spunto nella relazione illustrativa del d.lgs. n. 158/2015 che ha distinto il trattamento sanzionatorio delle due tipologie di condotta oggi contemplate dall’art. 10 quater. Nel definire estremamente offensiva la fattispecie dell’utilizzo in compensazione di un credito inesistente, la relazione spiega che il discrimine definitorio tra crediti non spettanti e crediti inesistenti “è contenuto nell’articolo 15, comma I, lettera o) del decreto, che modifica l’articolo 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, laddove è stata inserita, tra l’altro, la disciplina dell’utilizzo in compensazione di un credito inesistente· prima (….)  che la medesima disposizione definisce come il “credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e III cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati di cui agli articoli 36·bis, 36·ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972. n. 633. La stessa relazione illustrativa chiarisce che devono, pertanto, escludersi dall’ambito applicativo della disposizione tutte quelle ipotesi in cui l’inesistenza del credito emerga direttamente da detti controlli operati dall’Amministrazione nonché quelle ipotesi di utilizzazione di crediti in violazione di regole di carattere procedurale non prescritte a titolo costitutivo del credito stesso“.

Va detto tuttavia che la distinzione si rileva ben più complessa, non solo perchè in sede tributaria la distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti è oggetto di un contrasto interpretativo, ma soprattutto per  il comportamento dell’Amministrazione Finanziaria che qualifica come inesistenti, con conseguente trasmissione della notizia di reato, anche situazione creditorie vere ma per le quali la legge non consente la compensazione (si pensi ai credito di imposta per l’attività di ricerca e sviluppo); nonchè per l’attività interpretativa della Cassazione che ad es. qualifica come inesistenti anche crediti esistenti ma derivanti da dichiarazioni omesse (Cass. 21 giugno 2018 n. 43627).

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