INAPPLICABILITÀ DELLA CONFISCA EX ART. 12BIS D.LGS. N. 74/2000 SUI BENI “APPARTENENTI” ALL’ATTIVO FALLIMENTARE. UN APPRODO DEFINITIVO?

Con la sentenza del 28 marzo 2022 n. 11068, la Suprema Corte si pronuncia nuovamente in ordine al rapporto intercorrente tra sentenza di fallimento e confisca obbligatoria di cui all’art. 12bis del d.lgs. n. 74/2000.

Nel caso specifico, il Curatore Fallimentare avanzava ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’Appello che, adita in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva confermato la confisca ex art. 12bis nei confronti dell’imputato condannato in primo grado in ordine al reato di omesso versamento d’iva e poi prosciolto in secondo grado per intervenuta prescrizione.

La Curatela argomentava che, nel caso di specie, la dichiarazione di fallimento, con conseguente spossessamento dei beni del fallito, era intervenuta in epoca antecedente alla sentenza dei Giudici d’appello con cui era stata disposta la confisca in via definitiva su beni oggetto dell’attivo fallimentare.

Dunque, la Corte d’Appello aveva fatto erronea applicazione del disposto di cui all’art. 12bis del d.lgs. 74/2000 che invece esclude l’operatività della confisca riguardo ai beni appartenenti ad una persona estranea al reato, appunto la Curatela.

Prima di entrare nel merito delle motivazioni enucleate con la sentenza in commento, giova segnalare come la giurisprudenza di legittimità abbia sviluppato, nel corso degli anni, due orientamenti in proposito contrastanti.

Secondo un primo orientamento, la confisca obbligatoria prevista dall’art. 12bis del d.lgs. n. 74/2000 può essere disposta anche nel caso di intervenuto fallimento, in quanto, in ragione della finalità sanzionatoria che la contraddistingue, è destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sui medesimi beni. Si segnala come questo secondo orientamento sia già stato oggetto di critiche da parte dell’Osservatorio con il commento alla sentenza n. 864 del 2022 della IV sezione penale della Suprema Corte.

Secondo altro orientamento, richiamato dal ricorrente, la dichiarazione di fallimento impedisce l’applicabilità della confisca obbligatoria di cui all’art. 12bis d.lgs. n. 74/2000, poiché, ai sensi dell’art. 42 L.F., comporta lo spossessamento dei beni del Fallito ed il loro affidamento alla Curatela. Dunque, l’appartenenza dei beni ad un terzo estraneo impedirebbe un limite all’operatività della confisca (si veda sentenza n. 14766 del 26 febbraio 2020 della Corte di Cassazione, Sez. III penale).

La Suprema Corte, investita del ricorso, ha ritenuto fondate le argomentazioni spese dalla Curatela, aderendo, di fatto, al secondo orientamento giurisprudenziale menzionato, precisandone alcuni aspetti.

La Corte di Cassazione specifica che, al fine di valutare se il c.d. spossessamento dei beni del fallito costituisca un limite all’operatività della confisca, ci si debba soffermare sul dettato normativo del disposto di cui all’art. 12bis del d.lgs. n. 74/2000; il Legislatore, con l’utilizzazione del termine “appartenenza” e non “proprietà” o “titolarità”, ha inteso chiaramente riferirsi ad una tipologia di dominio sul bene di carattere sostanziale e non meramente formale.

Tale nozione di appartenenza “sostanziale” del bene a terzi si verifica effettivamente una volta che interviene la dichiarazione di fallimento, quando i beni cessano di appartenere al fallito, entrando a far parte, in sostanza, esclusivamente della massa fallimentare, che costituisce un patrimonio separato avente una sua specifica e precipua destinazione (si segnala che, in questo senso, si era già espressa la Suprema Corte, III sezione penale, con le sentenze n. 45574 del 10 ottobre 2018 e n. 14766 del 13 maggio 2020).

Invece, consentire, come affermato da parte della previgente giurisprudenza, la confisca con devoluzione all’Erario del profitto del reato tributario posto in essere anche in caso di intervenuto fallimento, rappresenterebbe una violazione evidente della par condicio creditorum e, potenzialmente, anche la postergazione, rispetto al creditore fiscale tutelato in sede penale, sia dei crediti privilegiati sia dei restanti crediti tributari non tutelati da una norma penale.

Peraltro, tale orientamento non collide con la natura sanzionatoria, a più riprese, rivendicata dalla Suprema Corte per “giustificare” l’applicazione della confisca ai beni appartenenti alla massa fallimentare. Per converso, proprio la natura di sanzione, che tra le sue caratteristiche principali vede quella della personalità e dunque di incidenza negativa esclusivamente sul soggetto destinatario di essa, esclude che la confisca possa pregiudicare un terzo estraneo al reato, appunto il ceto creditorio.

La Suprema Corte ha dunque annullato l’ordinanza impugnata disponendo rinvio per un nuovo esame alla Corte d’Appello competente.

La sentenza in commento rappresenta un importante approdo giurisprudenziale, che pare volto a superare in via definitiva (o almeno lo si auspica) alcune pronunce con cui era stato affermato che la confisca, pur non dovendo ledere la massa fallimentare, dovesse consentire il soddisfacimento delle preminenti ragioni di tutela penale”.

Tale tesi, nell’ipotesi in cui il patrimonio del fallito non risulti abbastanza capiente da soddisfare integralmente le ragioni di tutela penale ed il ceto creditorio, non lasciava molti spazi di manovra al giudice di merito che, trovandosi in situazioni analoghe, sarebbe stato presumibilmente orientato a privilegiare gli interessi erariali volti alla riscossione delle somme evase piuttosto che i creditori.

Se così fosse, si introdurrebbe, di fatto, un vero e proprio privilegio esclusivo in capo all’Erario per i crediti oggetto di tutela in sede penale.

Tale orientamento, come già sostenuto dall’Osservatorio, non può essere condiviso in quanto sembrava più che altro aver la finalità di consentire il soddisfacimento del debito erariale “costi quel che costi”.

La sentenza in commento, per converso, con un’interpretazione condivisibile sotto ogni profilo in quanto conforme al dettato normativo ed alla natura sanzionatoria che caratterizza la confisca obbligatoria, ha circoscritto con chiarezza i limiti della sua operatività escludendone (in via definitiva?) l’applicabilità ai beni “appartenenti” all’attivo fallimentare.

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