L’INDEBITA COMPENSAZIONE PUO’ CONCORRERE CON IL REATO DI DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA MEDIANTE USO DI FATTURE PER OPERAZIONI INESISTENTI

Con la sentenza del 6 maggio 2022 n. 18085 la terza sezione della Corte di Cassazione si occupa del rapporto tra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ed il reato di indebita compensazione previsto e punito dall’art. 10 quater d.lgs. 74/2000.

La vicenda sottoposta all’attenzione della terza sezione aveva visto l’imputato accusato e condannato all’esito dei due gradi di giudizio, sia per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, per avere indicato nelle dichiarazioni fiscali relative a più anni di imposta elementi passivi fittizi documentati da fatture per operazioni inesistenti; sia per il reato di indebita compensazione (art. 10 quater co. 2 d.lgs. 74/2000),  per avere, nel successivi periodi di imposta, utilizzato in compensazione i crediti fiscali inesistenti sorti a fronte delle delle medesime fatture “infedeli” di cui al contestato art. 2.

Avverso la sentenza della Corte di Appello proponeva ricorso per cassazione l’imputato, ad avviso del quale quest’ultima sarebbe incorsa in un errore di diritto, in quanto non potrebbe sussistere una corresponsabilità per il delitto di cui all’art. 10 quater co. 2 d.lgs. 74/2000 ed il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, stante un assunto rapporto di specialità tra le due fattispecie, le quali, finalizzate a preservare i medesimi beni giuridici, darebbero vita ad un fenomeno di progressione criminosa idonea a generare un fenomeno di “consunzione”, con applicazione della sola fattispecie più grave. In questo senso, il delitto di frode fiscale, ad avviso del ricorrente, ingloberebbe già una lesione dell’aspettativa erariale alla corretta riscossione dei tributi, indipendentemente dal fatto che il vantaggio tributario illecito venga conseguito anche attraverso successive ed autonome dichiarazioni fiscali illecite.

La Corte ha ritenuto infondato il ricorso.

Il Collegio ha in particolare osservato che le condotte ascritte all’imputato ed integranti i reati di cui agli artt. 2 e 10 quater d.lgs. 74/2000, sono state commesse in tempi differenti e con modalità diverse, risultando per tale ragione ontologicamente distinte. Il reato punito dall’art. 2 d.lgs. 74/2000 è stato consumato con la presentazione della dichiarazione annuale ai fini IVA, da ritenersi “fraudolenta” in quanto caratterizzata dall’utilizzo di elementi passivi fittizi fondati su fatture per operazioni inesistenti.

Viceversa il reato di cui all’art. 10 quater co. 2 d.lgs. 74/2000 è stato consumato nel successivo periodo di imposta, quando l’imputato/contribuente, in occasione delle liquidazioni periodiche dell’IVA, ha compensato l’inesistente credito IVA generato con la presentazione della dichiarazione fraudolenta, con il debito IVA maturato nell’anno successivo (cd. compensazione orizzontale).

Aggiunge la Corte che alcun dubbio può esservi sul fatto che, nella nozione di crediti inesistenti presa in considerazione dall’art. 10 quater co. 2, rientrino anche i crediti maturati a fronte dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, non rilevando a tal fine l’esistenza fisica del documento fiscale, quanto piuttosto l’effettività della cessione di beni o prestazioni di servizi ad esso sottostante.

Tale interpretazione troverebbe espressa conferma sia nell’art. 5 d.l. n. 146 del 21 ottobre 2021, che nell’introdurre una causa di non punibilità per il delitto di indebita compensazione con riferimento specifico ai crediti di imposta per attività di ricerca e sviluppo (maturati dal 31.12.2014 al 31.12.2019),  ne ha escluso l’applicazione se il credito compensato è il risultato di condotte fraudolente basate sull’utilizzo di fatture che documentano operazioni inesistenti; sia nella giurisprudenza civile, che esclude dal meccanismo di compensazione dell’IVA le imposte dovute in forza di fatture relative ad operazioni inesistenti.

Rileva infine il Collegio, che le due condotte producono  più evasioni di imposta, in quanto il contribuente non versa l’imposta relativa alla dichiarazione annuale nella quale sono indicati gli elementi passivi fittizi, nè, per effetto della illecita compensazione, versa l’imposta dovuta nell’anno successivo. Tale risultato consentirebbe di escludere l’esistenza di un presunto rapporto di specialità tra la fattispecie di cui agli artt. 2 e 10 quater co. 2 d.lgs. 74/2000, stante peraltro l’assenza di clausole di salvezza.

L’interpretazione appare semplicistica, in quanto l’art. 10 quater ha ad oggetto condotte illecite  commesse nella fase della riscossione e non anche nella fase dichiarativa, essendo stato introdotto proprio per sanzionare quei comportamenti del contribuente non suscettibili di essere ricondotti alle fattispecie di natura “dichiarativa” di cui agli artt. 2,v3,4 d.lgs. 74/2000. In altri termini, il reato di cui all’art. 10 quater co. 2 dovrebbe configurarsi in quelle ipotesi nelle quali l’inesistente credito IVA è stato utilizzato in compensazione solo nel modello F24 ma non anche in sede dichiarativa, dovendosi ritenere configurabile altrimenti esclusivamente il delitto di dichiarazione fraudolenta

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