Con la sentenza del 30 marzo 2022 n. 11633 il Supremo Collegio affronta, alla luce della Giurisprudenza Comunitaria, il tema dell’eventuale rilevanza del pagamento dell’IVA nell’ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti (art. 2 d.lvo 74/2000).
Nella vicenda sottoposta all’attenzione della Corte gli indagati erano stati destinatari di un provvedimento cautelare reale in relazione al reato previsto e punito dall’art. 2 d.lgs. 74/2000, per avere utilizzato fatture emesse a fronte di un fittizio contratto di appalto di servizi, dietro al quale si celava l’esistenza di una attività di illecita somministrazione di manodopera. Grazie alle fatture “infedeli”, la società utilizzatrice dei documenti fiscali “fittizi” aveva così potuto beneficiare di un consistente quanto illegittimo credito IVA, al quale non avrebbe avuto diritto in quanto il prestito o distacco di personale, non prevedendo il pagamento di un corrispettivo ma solo un rimborso spese, è una operazione esclusa dall’applicazione dell’IVA ex art. 15 d.p.r.633/72.
Dunque, secondo l’ipotesi accusatoria condivisa dal GIP e dal Tribunale del Riesame, l’utilizzo delle fatture emesse a fronte del contratto di appalto aveva consentito alle utilizzatrici di detrarre i costi sostenuti e l’IVA indicata in fattura, creando così un credito di imposta che non sarebbe sorto se le parti avessero correttamente descritto il rapporto giuridico intercorso (somministrazione di manodopera).
Inoltre, le fatture dovevano ritenersi anche soggettivamente inesistenti in quanto le prestazioni erogate alle utilizzatrici avrebbero dovuto riferirsi ai singoli lavoratori e non alla società emittente.
Avverso la decisione del Tribunale del Riesame i ricorrenti deducevano l’insussistenza quantomeno dell’elemento soggettivo del reato stante l’assenza del dolo di evasione. Evidenziavano infatti che l’IVA indicata nelle fatture utilizzate ai fini delle dichiarazioni fiscali incriminate, non solo era stata effettivamente versata dalle utilizzatrici alla società emittente, ma quest’ultima l’aveva a sua volta pagata all’erario, con la conseguenza che il debito fiscale generato dalle fatture era stato correttamente assolto. Aggiungevano i ricorrenti che, alla luce dalla pronuncia della Corte di Giustizia (EN.SA vs Agenzia delle Entrate n. 712 dell’8.05.2019) e del generale principio di neutralità dell’IVA, l’avvenuto versamento dell’IVA allo Stato da parte del soggetto emittente la fattura per operazione inesistente, fa sorgere la detraibilità dell’imposta per il soggetto utilizzatore che ha pagato la fattura e corrisposto anticipatamente l’IVA, poiché, in concreto, non vi sarebbe perdita del gettito fiscale.
La Corte ha respinto i ricorsi.
Nel rigettare i ricorsi il collegio ha viceversa ribadito l’irrilevanza dell’effettiva corresponsione dell’IVA da parte della società utilizzatrice ed il suo successivo versamento all’erario da parte dell’emittente, attesa la non indifferenza ai fini IVA dell’indicazione di un soggetto diverso da quello che aveva effettuato la fornitura. Anche secondo la giurisprudenza della Sezione Tributaria della S.C., la detrazione dell’IVA è, infatti, concessa solo in presenza di fatture emesse dal soggetto che opera la cessione o la prestazione, mentre sono escluse dal conteggio del dare e avere dell’imposta le fatture emesse da chi non è stato controparte del rapporto. Tale disciplina emerge con chiarezza dal combinato disposto degli artt. 17, 19, 21 d.p.r. 633/72.
La suindicata disciplina, aggiunge la Corte, trova conferma anche in sede sovranazionale. L’indetraibilità dell’IVA in caso di operazioni inesistenti è sancita, infatti, dall’art. 168 della Direttiva 2006/112/CE, secondo cui il soggetto passivo ha diritto a detrarre l’IVA di cui sono gravati i beni e servizi impiegati ai fini di “sue” operazioni soggette a imposta; il diritto alla detrazione presuppone, dunque, che “le spese effettuate per l’acquisto di beni e servizi a monte facciano parte degli elementi costituivi del prezzo delle operazioni tassate a valle” (cfr. sent. del 6.09.2012, Portugal Telecom, C-496/11, EU:C:2012:557, punto 36). Proprio nel parere citato dai ricorrenti (EN.SA vs Agenzia delle Entrate) si legge che “quando un’operazione di acquisto di un bene o di un servizio è inesistente, essa non può avere alcun collegamento con le operazioni del soggetto passivo tassato a valle, con la conseguenza che il diritto alla detrazione non può nascere” (sent. 27.06.2018, SGI e Valériane, C-459/17 e C-460/17, EU:C:2018:501, punto 36).
Ed è pertanto un aspetto fisiologico al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta.
Viceversa, l’obbligo per chiunque indichi l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta è previsto espressamente non solo dall’art. 21 d.p.r. 633/72 ma anche dall’art. 203 della direttiva IVA (cfr. sent. del 31.01.2013, Stroy trans, C-642/11, EU:C:2013:54, punto 38), che mira ad evitare il rischio della perdita di gettito fiscale, che permane fintanto che il destinatario della fattura può detrarre l’imposta.
Dunque, “è l’emittente di una fattura a essere debitore dell’IVA in essa indicata, mentre l’indetraibilità dell’imposta relativa a operazioni inesistenti è opponibile al destinatario di tale fattura”.
Tuttavia alla luce della giurisprudenza sovranazionale, e anche del parere rilasciato nel caso EN.SA vs. Agenzia delle Entrate, tale contesto normativo, che mira al contrasto dei fenomeni di evasione e frode fiscale, “non deve arrecare un pregiudizio eccessivo al principio di neutralità dell’IVA”, di modo che gli Stati Membri devono consentire “all’emittente di una fattura relativa ad una operazione inesistente di richiedere il rimborso dell’imposta indicata su tale fattura che egli ha dovuto assolvere, qualora sia in buona fede ed abbia in tempo utile eliminato il rischio di perdita di gettito fiscale” (cfr. sent. Stroy. cit.).
Pertanto, conclude sul punto il Collegio, non contrasta con il diritto comunitario una norma interna che prevede l’indetraibilità dell’IVA pur assolta dall’emittente, in presenza di fatture per operazioni inesistenti, ove sia al contempo garantita la possibilità di rettifica dell’imposta indebitamente fatturata in presenza di buona fede in capo all’emittente, situazione esclusa nel caso posto al vaglio della Corte.
Marco Napolitano
DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA MEDIANTE USO DI FATTURE PER OPERAZIONI SOGGETTIVAMENTE INESISTENTI: IL PAGAMENTO DELL’IVA INDICATA IN FATTURA NON ESCLUDE LA SUSSISTENZA DEL REATO.
Con la sentenza del 30 marzo 2022 n. 11633 il Supremo Collegio affronta, alla luce della Giurisprudenza Comunitaria, il tema dell’eventuale rilevanza del pagamento dell’IVA nell’ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti (art. 2 d.lvo 74/2000).
Nella vicenda sottoposta all’attenzione della Corte gli indagati erano stati destinatari di un provvedimento cautelare reale in relazione al reato previsto e punito dall’art. 2 d.lgs. 74/2000, per avere utilizzato fatture emesse a fronte di un fittizio contratto di appalto di servizi, dietro al quale si celava l’esistenza di una attività di illecita somministrazione di manodopera. Grazie alle fatture “infedeli”, la società utilizzatrice dei documenti fiscali “fittizi” aveva così potuto beneficiare di un consistente quanto illegittimo credito IVA, al quale non avrebbe avuto diritto in quanto il prestito o distacco di personale, non prevedendo il pagamento di un corrispettivo ma solo un rimborso spese, è una operazione esclusa dall’applicazione dell’IVA ex art. 15 d.p.r.633/72.
Dunque, secondo l’ipotesi accusatoria condivisa dal GIP e dal Tribunale del Riesame, l’utilizzo delle fatture emesse a fronte del contratto di appalto aveva consentito alle utilizzatrici di detrarre i costi sostenuti e l’IVA indicata in fattura, creando così un credito di imposta che non sarebbe sorto se le parti avessero correttamente descritto il rapporto giuridico intercorso (somministrazione di manodopera).
Inoltre, le fatture dovevano ritenersi anche soggettivamente inesistenti in quanto le prestazioni erogate alle utilizzatrici avrebbero dovuto riferirsi ai singoli lavoratori e non alla società emittente.
Avverso la decisione del Tribunale del Riesame i ricorrenti deducevano l’insussistenza quantomeno dell’elemento soggettivo del reato stante l’assenza del dolo di evasione. Evidenziavano infatti che l’IVA indicata nelle fatture utilizzate ai fini delle dichiarazioni fiscali incriminate, non solo era stata effettivamente versata dalle utilizzatrici alla società emittente, ma quest’ultima l’aveva a sua volta pagata all’erario, con la conseguenza che il debito fiscale generato dalle fatture era stato correttamente assolto. Aggiungevano i ricorrenti che, alla luce dalla pronuncia della Corte di Giustizia (EN.SA vs Agenzia delle Entrate n. 712 dell’8.05.2019) e del generale principio di neutralità dell’IVA, l’avvenuto versamento dell’IVA allo Stato da parte del soggetto emittente la fattura per operazione inesistente, fa sorgere la detraibilità dell’imposta per il soggetto utilizzatore che ha pagato la fattura e corrisposto anticipatamente l’IVA, poiché, in concreto, non vi sarebbe perdita del gettito fiscale.
La Corte ha respinto i ricorsi.
Nel rigettare i ricorsi il collegio ha viceversa ribadito l’irrilevanza dell’effettiva corresponsione dell’IVA da parte della società utilizzatrice ed il suo successivo versamento all’erario da parte dell’emittente, attesa la non indifferenza ai fini IVA dell’indicazione di un soggetto diverso da quello che aveva effettuato la fornitura. Anche secondo la giurisprudenza della Sezione Tributaria della S.C., la detrazione dell’IVA è, infatti, concessa solo in presenza di fatture emesse dal soggetto che opera la cessione o la prestazione, mentre sono escluse dal conteggio del dare e avere dell’imposta le fatture emesse da chi non è stato controparte del rapporto. Tale disciplina emerge con chiarezza dal combinato disposto degli artt. 17, 19, 21 d.p.r. 633/72.
La suindicata disciplina, aggiunge la Corte, trova conferma anche in sede sovranazionale. L’indetraibilità dell’IVA in caso di operazioni inesistenti è sancita, infatti, dall’art. 168 della Direttiva 2006/112/CE, secondo cui il soggetto passivo ha diritto a detrarre l’IVA di cui sono gravati i beni e servizi impiegati ai fini di “sue” operazioni soggette a imposta; il diritto alla detrazione presuppone, dunque, che “le spese effettuate per l’acquisto di beni e servizi a monte facciano parte degli elementi costituivi del prezzo delle operazioni tassate a valle” (cfr. sent. del 6.09.2012, Portugal Telecom, C-496/11, EU:C:2012:557, punto 36). Proprio nel parere citato dai ricorrenti (EN.SA vs Agenzia delle Entrate) si legge che “quando un’operazione di acquisto di un bene o di un servizio è inesistente, essa non può avere alcun collegamento con le operazioni del soggetto passivo tassato a valle, con la conseguenza che il diritto alla detrazione non può nascere” (sent. 27.06.2018, SGI e Valériane, C-459/17 e C-460/17, EU:C:2018:501, punto 36).
Ed è pertanto un aspetto fisiologico al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta.
Viceversa, l’obbligo per chiunque indichi l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta è previsto espressamente non solo dall’art. 21 d.p.r. 633/72 ma anche dall’art. 203 della direttiva IVA (cfr. sent. del 31.01.2013, Stroy trans, C-642/11, EU:C:2013:54, punto 38), che mira ad evitare il rischio della perdita di gettito fiscale, che permane fintanto che il destinatario della fattura può detrarre l’imposta.
Dunque, “è l’emittente di una fattura a essere debitore dell’IVA in essa indicata, mentre l’indetraibilità dell’imposta relativa a operazioni inesistenti è opponibile al destinatario di tale fattura”.
Tuttavia alla luce della giurisprudenza sovranazionale, e anche del parere rilasciato nel caso EN.SA vs. Agenzia delle Entrate, tale contesto normativo, che mira al contrasto dei fenomeni di evasione e frode fiscale, “non deve arrecare un pregiudizio eccessivo al principio di neutralità dell’IVA”, di modo che gli Stati Membri devono consentire “all’emittente di una fattura relativa ad una operazione inesistente di richiedere il rimborso dell’imposta indicata su tale fattura che egli ha dovuto assolvere, qualora sia in buona fede ed abbia in tempo utile eliminato il rischio di perdita di gettito fiscale” (cfr. sent. Stroy. cit.).
Pertanto, conclude sul punto il Collegio, non contrasta con il diritto comunitario una norma interna che prevede l’indetraibilità dell’IVA pur assolta dall’emittente, in presenza di fatture per operazioni inesistenti, ove sia al contempo garantita la possibilità di rettifica dell’imposta indebitamente fatturata in presenza di buona fede in capo all’emittente, situazione esclusa nel caso posto al vaglio della Corte.
Marco Napolitano