Segnaliamo la sentenza del 5 ottobre 2022 con la quale le SS. UU. della Corte di Cassazione sono intervenute in tema esercizio dell’azione penale per l’ipotesi nella quale il reato di Dichiarazione Infedele sia stato commesso in data antecedente all’entrata in vigore della L. 157/19, ma il p.m. abbia esercitato l’azione penale in data successiva all’entrata in vigore della riforma legislativa del 2019.
Nel caso posto all’attenzione della terza sezione della Corte. il p.m. lamentava l’abnormità del provvedimento con il quale il GUP, investito della richiesta di rinvio a giudizio per il reato di dichiarazione infedele, aveva restituito gli atti al p.m. ritenendo che per i fatti contestati dovesse procedersi con citazione diretta a giudizio, attesi i limiti edittali della pena prevista dall’art. 4 d.lgs. 74/2000 nella formulazione vigente al momento della consumazione del fatto oggetto di contestazione.
In particolare la Procura evidenziava che al momento dell’esercizio dell’azione penale era già entrato in vigore l’art. 39 co. 1 let. d) del D.L. 124/19, conv. con modificazioni dalla L. 157/19, che aveva innalzato la pena prevista per il reato di Dichiarazione Infedele da anni 3 ad anni 4 e mesi 6 di reclusione. In tal caso, rilevava il p.m., doveva procedersi con richiesta di rinvio a giudizio in ragione del principio “tempus regit actum“. Peraltro, il ricorrente evidenziava che l’errato provvedimento del GUP aveva generato una irreversibile stasi del procedimento in quanto il p.m., esercitando l’azione penale con la forma della citazione diretta a giudizio, avrebbe compiuto un atto nullo.
La terza sezione della Cassazione, dava innanzitutto atto che “il pubblico ministero aveva esercitato correttamente l’azione penale con richiesta di rinvio a giudizio, alla luce del consolidato orientamento (Sez. 2, n. 9876 del 12/02/2021, Rv. 280724; Sez. 3, n. 18297 del 4/3/2020, Rv. 279238; Sez. 4, n. 4313 del 22/09/2000, Rv. 217661) in forza del quale deve aversi riguardo al principio «tempus regit actum» e alla norma vigente al momento dell’esercizio dell’azione penale, nel caso di specie già modificata dalla novella legislativa”.
Si tratta di una decisione del tutto condivisibile e che trova applicazione per tutte le fattispecie previste dal d.lgs. 74/2000 che a seguito della riforma del 2019 hanno visto la pena edittale aumentata nel massimo al di sopra degli anni 4 di reclusione (artt. 4 e 5).
Inoltre la terza sezione, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla nozione di abnormità rimetteva gli atti alle SS.UU. della Cassazione in merito alla seguente questione: “se sia abnorme il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare che, ai sensi dell’art.33-sexies cod. proc. pen., disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che, per il reato per il quale è stato richiesto il rinvio a giudizio, l’azione penale debba essere esercitata con citazione diretta a giudizio“.
Le SS. UU. dando risposta positiva al quesito posto, hanno affermato anche il seguente principio di diritto: “E’ abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale con tra legem ed in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonchè la stasi del procedimento»
AI FINI DEL REGIME DI PROCEDIBILITA’ PER Il REATO DI CUI ALL’ART. 4 D.LGS. 74/2000 RILEVA LA DATA DI ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE E NON LA DATA DI COMMISSIONE DEL REATO.
Segnaliamo la sentenza del 5 ottobre 2022 con la quale le SS. UU. della Corte di Cassazione sono intervenute in tema esercizio dell’azione penale per l’ipotesi nella quale il reato di Dichiarazione Infedele sia stato commesso in data antecedente all’entrata in vigore della L. 157/19, ma il p.m. abbia esercitato l’azione penale in data successiva all’entrata in vigore della riforma legislativa del 2019.
Nel caso posto all’attenzione della terza sezione della Corte. il p.m. lamentava l’abnormità del provvedimento con il quale il GUP, investito della richiesta di rinvio a giudizio per il reato di dichiarazione infedele, aveva restituito gli atti al p.m. ritenendo che per i fatti contestati dovesse procedersi con citazione diretta a giudizio, attesi i limiti edittali della pena prevista dall’art. 4 d.lgs. 74/2000 nella formulazione vigente al momento della consumazione del fatto oggetto di contestazione.
In particolare la Procura evidenziava che al momento dell’esercizio dell’azione penale era già entrato in vigore l’art. 39 co. 1 let. d) del D.L. 124/19, conv. con modificazioni dalla L. 157/19, che aveva innalzato la pena prevista per il reato di Dichiarazione Infedele da anni 3 ad anni 4 e mesi 6 di reclusione. In tal caso, rilevava il p.m., doveva procedersi con richiesta di rinvio a giudizio in ragione del principio “tempus regit actum“. Peraltro, il ricorrente evidenziava che l’errato provvedimento del GUP aveva generato una irreversibile stasi del procedimento in quanto il p.m., esercitando l’azione penale con la forma della citazione diretta a giudizio, avrebbe compiuto un atto nullo.
La terza sezione della Cassazione, dava innanzitutto atto che “il pubblico ministero aveva esercitato correttamente l’azione penale con richiesta di rinvio a giudizio, alla luce del consolidato orientamento (Sez. 2, n. 9876 del 12/02/2021, Rv. 280724; Sez. 3, n. 18297 del 4/3/2020, Rv. 279238; Sez. 4, n. 4313 del 22/09/2000, Rv. 217661) in forza del quale deve aversi riguardo al principio «tempus regit actum» e alla norma vigente al momento dell’esercizio dell’azione penale, nel caso di specie già modificata dalla novella legislativa”.
Si tratta di una decisione del tutto condivisibile e che trova applicazione per tutte le fattispecie previste dal d.lgs. 74/2000 che a seguito della riforma del 2019 hanno visto la pena edittale aumentata nel massimo al di sopra degli anni 4 di reclusione (artt. 4 e 5).
Inoltre la terza sezione, rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla nozione di abnormità rimetteva gli atti alle SS.UU. della Cassazione in merito alla seguente questione: “se sia abnorme il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare che, ai sensi dell’art.33-sexies cod. proc. pen., disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che, per il reato per il quale è stato richiesto il rinvio a giudizio, l’azione penale debba essere esercitata con citazione diretta a giudizio“.
Le SS. UU. dando risposta positiva al quesito posto, hanno affermato anche il seguente principio di diritto: “E’ abnorme, e quindi ricorribile per cassazione, l’ordinanza del giudice dell’udienza preliminare che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga, ai sensi dell’art. 33-sexies, cod. proc. pen., la restituzione degli atti al pubblico ministero sull’erroneo presupposto che debba procedersi con citazione diretta a giudizio, trattandosi di atto che impone al pubblico ministero di compiere una attività processuale con tra legem ed in violazione dei diritti difensivi, successivamente eccepibile, ed è idoneo, pertanto, a determinare una indebita regressione, nonchè la stasi del procedimento»