DICHIARAZIONE INFEDELE: COSTITUISCONO ELEMENTI ATTIVI DI REDDITO DA ASSOGGETTARE A TASSAZIONE LE SOMME CHE I SOCI RICEVONO DALLA SOCIETA’ SE NON VI E’ PROVA DELLA LORO NATURA DI RESTITUZIONE DI PREGRESSI FINANZIAMENTI

Con la recentissima sentenza del 20 ottobre 2022 n. 39766  gli Ermellini si sono occupati del tema della rilevanza, ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele,  delle somme corrisposte al socio dalla società, in mancanza di prova circa la natura del pagamento (restituzione finanziamenti, distribuzione dividendi, ecc).

Nel caso di specie, l’imputato era stato condannato dalla Corte di appello di Firenze per il reato di infedele dichiarazione  di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000 “per avere , al fine di evadere le imposte sui redditi, omesso di indicare nella dichiarazione Irpef  elementi attivi soggetti a imposta per euro 1.462.066,60 determinando una evasione Irpef di euro 617.758,04 ed essendo l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati nella dichiarazione, pari ad euro 29,00 e l’imposta evasa superiore a euro 150.000,00.”

In particolare i giudici di merito evidenziavano la presenza di numerosi ed ingiustificati trasferimenti di denaro  non contabilizzati tra l’imputato e la società, nonché l’assenza di prova circa eventuali accordi intercorsi tra questi ultimi aventi ad oggetto un finanziamento soci ovvero una distribuzione di utili (occulti).

Avverso la predetta sentenza  di condanna è stato proposto ricorso per cassazione sottoponendo al vaglio dell.Ecc.ma Corte un unico e articolato motivo mediante il quale la difesa dell’imputato – ai fini che rilevano nel presente commento – lamentava  che la somma in contestazione pari ad euro 147.232,00 considerata componente attiva di reddito, costituiva in realtà il  rimborso di finanziamenti in precedenza effettuati dall’imputato mediante plurimi versamenti sui conti della società e come tale non assoggettabile a tassazione.

E’ stato specificato altresì, che qualora tale somma fosse stata considerata come dividendo distribuito ai soci la stessa avrebbe poi dovuto concorrere alla formazione del reddito imponibile per la sola percentuale del 49,72%, ai sensi dell’art. 49 T.U.I.R. e dell’art. 1 d.M. 2 aprile 2008, che prevedono una doppia imposizione limitata.

Ebbene, il percorso logico argomentativo della Corte di appello non è stato censurato dalla Corte di Cassazione che al contrario ha ribadito i seguenti principi di diritto:

  • la distribuzione degli utili sociali deve essere preceduta, oltre che dalla esistenza di ricavi, da una delibera di approvazione del bilancio che ne attesti l’esistenza e che contempli anche la loro distribuzione ai soci (potendone anche essere deliberata l’attribuzione a riserve facoltative);
  • anche i finanziamenti dei soci, che costituiscono passività della società, devono essere provati e iscritti nel bilancio, posto che non tutti i versamenti fatti da un socio in favore della società possono essere qualificati come finanziamenti soci, potendo trattarsi di versamenti in conto capitale o di restituzione di debiti del socio nei confronti della società;
  • la qualificazione, nell’uno o nell’altro senso, dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi, dovendosi, inoltre, avere riguardo, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, alla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio, da reputarsi determinante per stabilire se si tratti di finanziamento o di conferimento, in considerazione della soggezione del bilancio all’approvazione dei soci (così Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 7471 del 23/03/2017, Rv. 644825; nel medesimo senso v. anche Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 24861 del 09/12/2015, Rv. 637899).

In conclusione per scongiurare il rischio che le somme ricevute da socio a titolo di restituzione di un precedente finanziamento alla società possano essere qualificate come elementi attivo di reddito da assoggettare a tassazione,  è necessario che sia il finanziamento, che la relativa restituzione, trovino adeguato riscontro nei verbali assembleari e nel bilancio della società (Cass. ord. del 5 settembre 2020 n. 24746).

 

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